martedì 28 dicembre 2010

Il barattolo di maionese vuoto e l'assurdo


Vetro, plastica, lattine e tetrapak: Revet sospende la raccolta differenziata presso le aziende

FIRENZE. Probabilmente i cittadini non si accorgeranno di nulla...almeno inizialmente...ma per aziende, centri commerciali, ospedali, imprese, c'è un problema sul fronte della raccolta dei rifiuti dal 18 dicembre scorso. E dopo le Feste questa situazione diventerà ancora più pressante.
Ma cos'è successo?
Venerdì 17 dicembre 2010, a Valerio Caramassi, presidente di Revet - l'azienda che raccoglie seleziona e prepara per il riciclo vetro, plastica, lattine e tetrapak in 219 comuni della Toscana - è stato notificato un decreto di condanna del Tribunale di Firenze, con sanzione di 20.500 euro, in relazione al reato "di attività di gestione di rifiuti non autorizzata", avendo, attraverso un mezzo di una cooperativa di servizio, raccolto da un'area aziendale rifiuti speciali assimilati agli urbani (nello specifico un barattolo di maionese) come sempre fatto, poiché previsto dal regolamento approvato dal consiglio comunale di quel Comune.
In conseguenza di ciò, Revet il giorno dopo ha ritenuto doveroso comunicare immediatamente a circa 100 comuni toscani e ai relativi gestori di servizio pubblico l'interruzione delle attività di raccolta nei luoghi soggetti alle interpretazioni del procedimento: sono 788 le campane o i cassonetti oggetto di questa interruzione di raccolta poiché posizionati all'interno di aree private (utenze non domestiche) quali appunto aziende, imprese, centri commerciali, ospedali, etc.. Queste campane, che da dieci giorni non sono più svuotate da Revet, sono identiche a quelle presenti sul suolo pubblico, poiché sono "analiticamente" identici per struttura chimica e fisica i rifiuti che vengono raccolti in modo differenziato. Quindi un barattolo che ha contenuto maionese se proviene da casa propria può essere raccolto e avviato al trattamento che lo prepara per il riciclaggio, se proviene da un'azienda no.
Il tutto ha origine da una interpretazione giuridica (articolo 195, comma 2 lettera e del D.Lgs. n° 152 del 2006 e s.m.i) per la quale quel tipo di rifiuti, oggetto di accertamenti Arpat e seguente procedimento, ancorché omogenei agli urbani e perfettamente avviabili a recupero e a riciclo, non potevano essere ritirati perché da considerare sempre come rifiuti speciali.
Ma se le imprese trascinassero in strada le campane dopo averle riempite? Andrebbe tutto bene! Bel paradosso: in ogni caso Revet, non volendo reiterare il reato, non ritira più quei contenitori presenti all'interno delle aziende.
I criteri per l'assimilazione di quei rifiuti dovevano essere determinati con decreto dallo Stato, mentre le assimilazioni competono ai Comuni tramite l'assunzione di un regolamento. Detto decreto però non è stato emanato.
Rispetto a questa interpretazione sanzionatoria il quesito è: perché non si possono ritirare pur essendoci regolamenti comunali approvati? E' vero che il governo doveva emanare quel decreto attuativo contenente nuovi criteri per l'assimilazione e ciò non è stato fatto, ma è anche vero che fino alla emanazione dei nuovi criteri rimangono in vigore quelli precedenti. Del resto questa interpretazione è esattamente quella che la regione Toscana ha dato nella approvazione della legge finanziaria.
Fra l'altro la questione sembrerebbe superata anche dal nuovo testo di legge, pubblicato recentemente in Gazzetta Ufficiale, laddove si parla esplicitamente della necessità di recuperare e riciclare non solo i rifiuti urbani ma anche "i rifiuti di altra origine, nella misura in cui tali flussi di rifiuti siano simili a quelli domestici".
Revet in ogni caso, ha già fatto ricorso contro il decreto ricevuto ma, nel frattempo, ha doverosamente comunicato a tutti i gestori ed ai comuni dove si configurano situazioni di raccolta identiche alla fattispecie contestata, dell'interruzione del servizio. L'azienda di Pontedera, per bocca del suo presidente Caramassi si è detta «...pronta a governarne nei casi più delicati l'impatto negativo della decisione presa, ma è chiaro che, al di là delle interpretazioni, il decreto di condanna è stato emanato, quindi Revet non può dare in alcun modo la sensazione di voler reiterare ciò che si considera reato...».

giovedì 23 dicembre 2010

Da Mauro Aurigi. Siena

Da Mauro Aurigi:

Caro Pietro Del Zanna, ti ringrazio per la comunicazione.
Quello che scrivete lo condivido, a dirla tutta, dagli anni ’80, quando, alla morte di Enrico Berlinguer, uscii dal PCI dove ero entrato nel ‘68 quando Enrico proclamò lo strappo dall’URSS. Da allora non ho più votato (solo tre eccezioni: la mia candidatura a sindaco nel 2001, e l’elezione di Franca Rame nel 2006 e di Pancho Pardi nel 2008).
Salvo imprevisti parteciperò all’incontro, ma voglio dirti subito su quali basi: sono quelle di cui a un documento che ho contribuito a stendere e che ti trascrivo di seguito. Ciao (e scusa la logorrea).
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Relazione letta all’
INCONTRO NAZIONALE DEGLI AMICI DI BEPPE GRILLO
Roma, 20-21 settembre 2008
Mauro Aurigi e Michele Pinassi del Meetup di Siena

I partiti di massa (anche quelli estinti da tempo come il partito giacobino), nascono tutti sulla base di principi di grande contenuto morale e ideale per poi degenerare nel più vergognoso dei modi. Perfino il documento di fondazione del partito fascista (Piazza Sansepolcro a Milano, 1919) aveva contenuti avanzati in gran parte ancora oggi accettabili (e comunque accettati perfino dal Pci dall’esilio francese nel 1936). E perfino la Chiesa (fu subito un partito anch’essa fin dalle origini), che pure su principi morali ha basato la sua esistenza come nessun altro movimento, ha alle spalle una storia terribile e un presente nient’affatto edificante. Ciò dipende dal fatto ineludibile che appena un partito riesce ad affermarsi si scatenano conflitti e congiure interne, spesso senza esclusione di colpi, per conquistarne il controllo. E’ una lotta fratricida in cui immancabilmente prevale o prevalgono i soggetti più avidi, cinici, disinvolti e sleali: nello scontro tra “fratelli” è sempre Caino che uccide Abele (si pensi al confronto tra D’Alema e Occhetto). La selezione interna al partito è quindi sempre una selezione viziosa, mai virtuosa. Il detto che “l’unico politico buono è il politico morto” non è una battuta: da sempre il politico buono a 33 anni finisce crocifisso dai propri “fratelli”.

Così succede che alla fine il concetto “il partito è lo strumento e lo stato è il fine” si rovescia: il partito (o chi lo controlla) diventa il fine e lo stato diventa lo strumento. Il partito o il sistema dei partiti finiscono così per rappresentare la massima minaccia per la democrazia e per il quieto vivere di una comunità. Ogni partito infatti ha in sé il germe della tirannia, del dispotismo, anche se fa della democrazia la sua bandiera: alla fine esso punta sempre alla sconfitta totale di ogni avversario e alla conquista totalitaria di ogni potere istituzionale. Fenomeni come il bolscevismo, il nazismo e il fascismo non furono la negazione del sistema dei partiti come solitamente si dice, ma la vittoria di un partito su tutti gli altri portata alle estreme conseguenze. Non c’è partito infatti che si accontenti della conquista del 50% più uno dei voti. Tutti mirano alla conquista di un consenso quanto più possibile vicino al 100%: puntano ossia alla soppressione di ogni altro partito e alla dittatura di fatto di colui o di coloro che del partito vincente hanno conquistato il controllo. Queste sono le uniche ossessioni dei politicanti, senza eccezione. Questioni come il bene comune o l’interesse generale, che pure infestano i loro discorsi, sono roba buona solo per l’ingenua, stupida plebe. E’ così che si ricostituisce il sistema feudale della Casta, sconfitto dai liberi Comuni italiani seicento anni prima che lo facessero i Francesi con la loro rivoluzione. Non sarà un caso che i Comuni italiani avessero norme rigorose, ancorché applicate con grande difficoltà (solo la Repubblica di Venezia ci riuscì sempre e bene), per impedire che i cittadini si dividessero in partiti, perché sapevano che la lotta tra i partiti avrebbe gettato la città nella povertà e che la vittoria di un partito sugli altri avrebbe significato la perdita della libertà. Sia detto per inciso: solo grazie a ciò il Nord Italia ancora oggi è più ricco e evoluto del Meridione, dove le borghesie locali non riuscirono mai a sconfiggere la mafia dei baroni, così come oggi non si riesce a sconfiggere quella moderna fatta, come il feudalesimo medievale, di intrecci strettissimi tra politica, economia e criminalità (la Casta).

Abbiamo fatto questa premessa perché siamo decisamente contrari a una struttura o movimento o coordinamento (quale che sia la sua forma o contenuto), che si costituisca al centro (in alto) per diramarsi verso la periferia (in basso), perché, lo si voglia o no, ciò rappresenterebbe immancabilmente la fondazione di un partito (tutti i partiti si costituiscono al centro per diramarsi dopo in periferia) con le immancabili conseguenze sopra descritte. Solo un ingenuo può pensare che una simile struttura non scatenerebbe le lotte per la conquista del suo controllo. Basta un’occhiata a quello che succede nel blog di Beppe Grillo per sincerarsene: quel blog, che pure non è neanche un partito, è attraversato da scontri durissimi tra persone, che neanche si conoscono, per conquistarne il controllo (simili situazioni le abbiamo avute anche nel nostro meetup senese e, temiamo, in ogni meetup).

Le uniche situazioni, per altro rarissime, in cui il partito o i partiti non rappresentano una minaccia prevaricatrice alla pace democratica e al felice evolversi di una comunità o di uno stato, sono quelle in cui il popolo (non è ovviamente il caso dell’Italia) sia riuscito a mantenere saldamente nelle sue mani il potere sovrano, ossia a salvaguardare il principio per cui la volontà non scende dall’alto (dal centro), ma sale dal basso (dalla periferia): lì non sono i governanti che controllano i governati, ma viceversa. In quelle situazioni, in sintesi, la bilancia del potere pende dalla parte del popolo e non dei politici, i quali risultano per lo più anonimi, ossia a noi sconosciuti (vedi Svezia, Svizzera, Olanda e in genere tutti i paesi a cultura protestante, che di conseguenza sono i più avanzati del mondo senza eccezione alcuna).

Ciò detto la nostra proposta è che i lavori di questo nostro convegno si concludano con la dichiarazione che spetti alle singole realtà locali (comunali?) la costituzione di associazioni o movimenti di tipo politico/culturale che si occupino in totale autonomia del proprio territorio, non escludendo ovviamente l’opportunità di partecipare alla competizione elettorale anche presentando proprie liste civiche. Saranno questi organismi comunali che, con gli stessi propositi di cui sopra, decideranno di federarsi a livello provinciale (nel rispetto del principio “ciascuno padrone a casa sua, ma insieme ci occupiamo del condominio”). Le federazioni provinciali a loro volta, con lo stesso principio e gli stessi propositi, si federeranno a livello regionale e così via fino al livello nazionale e (perché no?) europeo.

Solo così si può tentare di realizzare una struttura in cui non sia il centro (l’alto) a controllare la periferia (il basso), ma viceversa sia la periferia a controllare il centro. Non esistono alternative a questo processo se si vuole evitare la costituzione di un organismo che potremo chiamare come vorremo, ma che di fatto sarà un partito come gli altri e che, come gli altri (nessuno escluso) alla fine ineluttabilmente rappresenterebbe pur esso, come abbiamo cercato di spiegare sopra, la massima minaccia al positivo sviluppo sociale, economico e culturale del Paese. Dopodiché dovremmo inventarci qualche altra cosa per combatterlo, esattamente come stiamo tentando di fare qui ora contro i partiti attuali.

Non vogliamo con ciò dire che siamo contrari a incontri “centralizzati” come quello che stiamo facendo ora (anzi), ma a condizione che siano finalizzati non all’edificazione di strutture o organismi centralizzati di tipo istituzionale, ma esclusivamente a questioni di carattere culturale e anche politico.

A questo ultimo riguardo buttiamo là due idee per i prossimi incontri nazionali.

1. Un incontro da farsi la prima domenica del prossimo maggio a Glarus, piccolo, civilissimo cantone montanaro svizzero di 50.000 anime, in occasione della sessione annuale del parlamento locale composto da tutti i 35.000 elettori (il più grande parlamento del mondo): così toccheremo con mano cosa sia la democrazia diretta.
2. Una conferenza nazionale sulle analogie tra il fenomeno del feudalesimo medievale e quello moderno (la Casta) della cui genesi noi siamo ora testimoni oculari (troppo lungo spiegarlo qui, ma vi assicuriamo che le analogie ci sono e assai inquietanti).

AUTOCONVOCAZIONE INCONTRO 29-30 GENNAIO 2011 per un' aggregazione politica ispirata a criteri di sostenibilità ambientale, equità sociale, partecipazione democratica.

AUTOCONVOCAZIONE INCONTRO 29-30 GENNAIO 2011
A tutti i movimenti e le reti interessate ad un progetto di aggregazione politica ispirata a criteri di
sostenibilità ambientale, equità sociale, partecipazione democratica.
Care Amiche e Cari Amici,
Da alcuni mesi molte persone, associazioni e reti composti da donne e uomini di buona volontà
stanno lavorando al sogno di costruire un processo costituente che raggruppi tutti i soggetti che
vogliono portare il respiro della società civile nelle rappresentanze e nei luoghi della decisione,
superando i limiti del sistema partitico attuale, con una visione ecologista, civica, democratica e
sociale costruita dal basso.
Ci sono stati diversi appuntamenti importanti in varie città d’Italia che hanno cercato di coagulare
tali sforzi e che hanno portato centinaia di realtà a conoscersi e confrontarsi, gettando le basi, a
nostro avviso, per l’avvio di un processo unitario aperto, inclusivo e partecipato al quale tutti coloro
che intendono partecipare sono invitati a dare un contributo attivo.
Le cose si stanno muovendo, in modo magari magmatico e incoerente, ma si stanno muovendo.
Perciò vogliamo invitare tutti gli uomini e le donne di buona volontà, rappresentanti di
associazioni, comitati e reti locali e nazionali, ad “autoconvocarsi” e ritrovarsi, tutti insieme, per
discutere i percorsi da seguire per costruire il nuovo soggetto politico in maniera partecipata e
condivisa.
Sappiamo che per giungere ad un’aggregazione politica non basta la condivisione di alcune grandi
affermazioni di principio, ma serve anche una certa chiarezza sulle politiche economiche e sociali
da perseguire nel breve e lungo periodo, oltre alle modalità di fare politica e alle regole da darsi per
evitare di ricadere nella vecchia politica dominata da caste. La sfida è come costruire questo
percorso in maniera da permettere a tutti di esprimersi e di poter capire con chiarezza le posizioni
degli altri in modo da evitare egemonie ed equivoci che sono l'anticamera della disgregazione.
I modi per realizzare questo processo partecipativo sono vari e già mentre preparavamo questo
invito sono emerse varie proposte che però vorremmo discutere con tutti voi.
Pertanto proponiamo di incontrarci il 29 e 30 gennaio
in luogo ancora da individuare, ma scelto in una posizione geografica centrale.
Precisiamo che i firmatari del presente invito non hanno nessun altro ruolo se non quello di
promotori all’autoconvocazione di questo “conclave” di avvio del processo costituente.
Cari saluti a tutti e tutte.
Per adesioni e riferimenti logistici contattare i soggetti che hanno dato le prime adesioni in ordine
alfabetico:
Abbiamo un Sogno, referente Marco Boschini: e-mail marcoboschini@alice.it.
Centro Nuovo Modello di Sviluppo, referente Francuccio Gesualdi: email coord@cnms.it
Costituente Ecologista, referente Giuliano Tallone, email: giulianotallone@tin.it
Gruppo delle Cinque Terre, referente Maurizio Di Gregorio, email: ecoconclave@gmail.com
E… (l’elenco è liberamente aperto a tutti i movimenti che vorranno aderire)
http://www.abbiamounsogno.it/
http://www.cnms.it/
http://www.costituentecologista.it/
http://www.gruppocinqueterre.it/

mercoledì 22 dicembre 2010

L'importanza del Parco a Vecchiano (PI) e altro


[ 21 dicembre 2010 ] Urbanistica e territorio

Le politiche del territorio e l'interessante laboratorio pisano (grazie anche al parco)

Renzo Moschini
PISA. Dall'assemblea di Vecchiano sul nuovo regolamento urbanistico comunale si possono trarre utili e interessanti spunti per un dibattito politico-istituzionale che interessa il territorio ‘pisano' nella sua accezione più ampia e incrocia aspetti di un confronto anche regionale che procede tra varie turbolenze ma anche omissis.
Recentemente commentando la presentazione del piano strutturale pisano e i PIUSS su una rivista cittadina avevo rilevato criticamente che stranamente il parco non vi figurava con il ruolo che gli spetta. E devo dire che anche per quel tanto che ho letto del congresso provinciale del Pd anche lì avevo notato qualche silenzio di troppo. Ma qui potrei sbagliarmi.
A Vecchiano invece cosa abbia significato e significhi la presenza del parco, il suo piano per tanti versi anticipatore di scelte al tempo davvero coraggiose, lo si è ancora una volta toccato con mano.
Voglio dire senza entrare ora in particolari che si è avuta la chiara percezione che le istituzioni locali che ne fanno parte -Vecchiano in particolare- ne sono rimaste ‘segnate' nel modo più serio.
Insomma quegli indirizzi sono ancora una importante bussola che conferma -ecco un aspetto di grande attualità su cui è calata un po' la tela anche in Toscana- che i parchi costituiscono anche sotto il profilo della aggregazione e collaborazione intercomunale quanto di più avanzato vi è oggi su piazza.
E proprio per questo l'attacco a cui sono sottoposti oggi tutti i parchi senza eccezione alcuna rappresenta una insidia molto seria anche per gli enti locali che vedono messo in discussione e a rischio uno strumento estremamente specializzato e qualificato che non solo agli enti locali non toglie nulla ma ha dato e dà molto.
A Vecchiano si è parlato giustamente di assetto idrogeologico, di bacini come quello del Serchio. Ma cosa sarebbe oggi un piano strutturale per questo territorio senza ciò che si è riusciti a mettere su pezzo a pezzo con il Canale dei Navicelli, la Golena, il litorale grazie soprattutto al piano del parco?
E qui si incrocia il dibattito regionale che ha preso avvio con la nuova giunta regionale. Un dibattito come abbiamo visto non facile perché dell'eredità della vecchia giunta sono parecchie le cose da rivedere e tra queste sicuramente il ruolo dei parchi la cui nuova legge non riuscì a tagliare il traguardo.
Ora si tarda però a metterci mano e anche in documenti recenti si trovano ancora omissis che figuravano già nel PIT e nella legge del 2005. In conclusione non vedo ancora neppure in sede politica oltre che istituzionale una nuova e adeguata messa a registro di questi aspetti urgenti e non più rinviabili.
Devo dire che anche chi - come gli Ecodem che si dice avrebbero dovuto fare da battistrada su questo terreno - mi sembrano poco affaccendati su questo. Il che fra l'altro conferma che dentro i partiti non c'è posto oggi per ‘partitini' con deleghe non assegnabili a nessuno. Vecchiano da questo punto di vista insegna molto.

lunedì 20 dicembre 2010

Lettera aperta-appello agli amministratori pubblici, di comuni, province e regione.


[ 17 dicembre 2010 ] Acqua | Mobilità sostenibile | Rifiuti e bonifiche

Movimenti e associazioni presentano una lettera aperta-appello agli amministratori pubblici, di comuni, province e regione sui servizi pubblici

FIRENZE. Il Forum toscano dei Movimenti per l'acqua, Comitati toscani contro l'incenerimento dei rifiuti, Italia Nostra Toscana, il Forum ambientalista toscano hanno presentato una lettera aperta-appello agli amministratori pubblici, di comuni, province e regione. Il tema che preoccupa movimenti e associazioni è quello dei servizi pubblici ed in particolare il disegno di legge che la Regione Toscana ha presentato per adempiere a quanto previsto dalla Legge Finanziaria 2009 che pone l'obiettivo di ridurre la spesa pubblica eliminando le Autorità degli Ambiti Ottimali.
«La Regione ha presentato un disegno di legge che stravolge le norme sui servizi pubblici di acqua e di rifiuti, togliendo ai consiglieri comunali e provinciali ogni possibilità di scelta in merito e relegando i sindaci in una commissione puramente consultiva, non vincolante delle scelte dei Commissari regionali, i quali, nel corso del 2011, andranno a sostituire le Autorità di Ambito e anche l'Assemblea dei sindaci, approvando i piani industriali, selezionando i gestori unici e imbalsamando per decenni i due settori- spiegano movimenti e associazioni- Per questo lanciamo un appello a tutti i consiglieri eletti nelle assemblee istituzionali della Toscana per chiedere che si apra un confronto serio su tali scelte».
Secondo i movimenti l'obiettivo condivisibile del taglio della spesa pubblica che pone la finanziaria è stato preso «a pretesto per commissariare gli ambiti, anziché decentrarne le funzioni come dispone la suddetta legge, e per aumentarne le dimensioni territoriali, in violazione di norme già esistenti, sino a farli coincidere con la regione. Questa riforma non ha neppure nulla di coerente con le asserite volontà di ottimizzare l'efficacia e l'efficienza del servizio, che si fondano invece sulle conoscenze tecniche ed amministrative, che sono tutte locali e sui caratteri fisici di un territorio ottimale. "Ottimale" appunto è l'aggettivo fissato dalla legge statale, che stabilisce anche i criteri fisici, geografici ed economici, criteri che la Regione Toscana intende stravolgere e non rispettare. Per l'acqua, gli Ambiti ottimali sono i bacini idrografici».
Stesse considerazioni per movimenti e associazioni valgono per i rifiuti «dove la scelta migliore è la partecipazione e il coinvolgimento dei consiglieri eletti e delle popolazioni locali e non l'accentramento burocratico, la regionalizzazione, il commissariamento dei sindaci. Solo la partecipazione delle popolazioni, chiamate a evitare impianti dannosi alla salute e a realizzare le buone pratiche, consente la riduzione della produzione dei rifiuti, la raccolta differenziata e la riduzione dei costi».
Considerato che la Regione Toscana ha già annunciato un intervento legislativo, per il primo semestre 2011, in materia di riordino dei servizi pubblici locali, per movimenti e associazioni toscane (Forum per l'acqua, Comitati contro l'incenerimento dei rifiuti, Italia Nostra, il Forum ambientalista) «è da scongiurare l'assunzione di scelte nel chiuso delle stanze, senza prevedere una partecipazione e un protagonismo dei cittadini e dei tanti e numerosi Comitati impegnati sul territorio a difesa dei Beni comuni, nella regione che ha deliberato una Legge sulla Partecipazione. In assenza di una tale coerenza e sensibilità democratica, non è da escludere il ricorso, all'ultimo strumento utile, ammesso dallo stesso Statuto della Regione Toscana: il Referendum abrogativo» concludono i movimenti.

giovedì 16 dicembre 2010

La parola Ecologia. Il bel mensile "Una città" intervista Marco Boato

la parola Ecologia [intervista a Marco Boato]

 Vi propongo una lunga e importante intervista a Marco Boato appena pubblicata dalla rivista Una Città. Vengono affrontati i principali temi che riguardano la Costituente Ecologista, gli errori passati dei Verdi, l’ecologismo in Europa e nel resto del mondo. Sarebbe utile diffonderla e discuterla. Buona lettura.
Da UNA CITTÀ n. 179 / 2010 (intervista a Marco Boato realizzata da Luciano Coluccia e Massimo Tesei).

 

 la parola Ecologia

Dall’Europa arrivano segnali sinistri, sia sul versante economico che su quello sociale. Anche dove i partiti socialdemocratici erano tradizionalmente forti, come la Svezia e la Germania, la crisi della socialdemocrazia pare irreversibile…
Stiamo vivendo una fase storica di grandissimo cambiamento e di grandissima difficoltà, sia a livello europeo che, per molti aspetti, anche a livello mondiale. Il quadro in cui dobbiamo inserire la nostra riflessione è quello in cui, soltanto una quindicina di anni fa, la maggior parte dei paesi europei era guidata da governi che in Italia definiremmo di centro-sinistra –socialisti, socialdemocratici, laburisti, eccetera- mentre oggi la stragrande maggioranza dei paesi europei ha governi che definiremmo di centro-destra -conservatori, liberali, e così via. Oggi la Svezia, che era un po’ il fiore all’occhiello della socialdemocrazia europea, è governata dalla destra, questo ci fa capire quanto profonda sia stata la svolta iniziata con la caduta del muro di Berlino, e quanto forte sia l’ondata, crescente negli ultimi 10 anni, di quello che potremmo definire genericamente un populismo di destra. In Europa, il populismo di destra ha avuto successo facendo leva su questioni che riguardano la crisi economica, la disoccupazione, la crisi del welfare, l’insicurezza, la paura suscitata dagli immigrati e dalla società multietnica. Poche settimane fa la Merkel ha dichiarato la fine della società multiculturale in Germania, eppure la Merkel non è una leader populista di destra, è sì una leader conservatrice, ma ha una cultura politica diversa. Siamo di fronte al passaggio da un’Europa prevalentemente socialdemocratica” a una prevalentemente “conservatrice”. Il termine conservatore è tuttavia un termine inadeguato, perché in alcuni casi le forze di centro o di centro-destra hanno dimostrato di essere più innovative delle forze della sinistra, le quali sono diventate spesso forze conservatrici rispetto al mercato del lavoro e alla sicurezza sociale costruiti negli anni del secondo dopoguerra. Ora, in questo quadro, ovviamente molto semplificato, io metto anche la sconfitta di Obama alle recenti elezioni di mid term. Obama è stato una grandissima speranza e una grandissima innovazione, ma si è trovato a gestire l’eredità di Bush e una crisi economica maturata prima, ma esplosa durante i suoi primi due anni di mandato. Il populismo di destra -in questo caso rappresentato dai cosiddetti tea party- è stato determinante in questa sconfitta, che forse non sarà definitiva, ma comunque non era più successo dal 1948 un tale spostamento di seggi dai democratici ai repubblicani. Se noi ci giriamo indietro a pensare cos’è stata la speranza che ha suscitato Obama in America e nel mondo, il tracollo recente è una cosa che lascia allibiti. In questo quadro, più nel nord Europa e molto meno nel Sud Europa, -e cerco di non usare eccessiva enfasi propagandistica, ma guardando più da osservatore politico, sociale e culturale- l’unico elemento che vedo di innovazione, di cambiamento e anche di speranza rispetto al futuro è questa crescita apparentemente inarrestabile -dico apparentemente perché non si sa mai cosa può succedere- dei vari soggetti ecologisti e verdi, sostanzialmente accomunati dai temi dell’ecologia politica e della maturazione di una nuova soggettività politica. Penso che questo fenomeno dell’ecologismo politico, che si è sviluppato ed accresciuto negli ultimi anni, sia qualcosa di più dell’ambientalismo classico, sia qualcosa che riguardi più l’ecologia culturale, l’ecologia della mente, l’ecologia ambientale, l’ecologia sociale; cioè qualcosa che non riguarda più soltanto l’aspetto importantissimo ma delimitato dell’ambientalismo come l’abbiamo conosciuto fino a pochi anni fa. Questo nuovo ecologismo politico ha l’ambizione di essere una nuova visione culturale e un nuovo progetto politico che cerca di affrontare tutte le questioni della società contemporanea: da quelle ambientali a quelle economiche, a quelle sociali, a quelle culturali, a quelle istituzionali; perché c’è anche un’ecologia delle istituzioni. Temi come la partecipazione, la rappresentanza, la trasparenza e l’anti-casta, usando un termine che non mi piace molto, sono temi che fanno parte di questa visione più generale dell’ecologia politica. “L’anti-casta” è in realtà il titolo di un libro curato da Marco Boschini e Michele Dotti, che è una raccolta di saggi di vari autori, che in qualche modo attraversano questa nuova ecologia politica in Italia. Per ora l’attraversano soprattutto sul piano culturale e su alcuni aspetti amministrativi a livello locale. Questo libro è nato per rispondere al fenomeno provocato da “La casta” di Stella e Rizzo: doveva essere una demolizione della casta, ma paradossalmente ha rappresentato un’ulteriore incentivazione all’antipolitica, un ulteriore distacco dei cittadini non dalla casta, ma dalla politica, e una ulteriore disillusione, un “riflusso”, si sarebbe detto in altri tempi. Invece “L’anti-casta” è l’Italia che funziona, ed è attraversato dai temi della nuova ecologia politica.
Quando parli di ecologia politica viene immediato il collegamento all’esperienza di Cohn Bendit in Francia…
Sì, in Francia e non solo. Questo fenomeno ha portato recentemente gli ecologisti della Lettonia al 20% dei voti, così come Marina Silva ha avuto il 20% in Brasile, pur tenendo presente che Marina Silva ha avuto il 20% sulla sua figura, ma il corrispettivo per il partito dei Verdi brasiliani è attorno al 3-4%. In ogni caso Marina Silva ha catalizzato uno straordinario consenso, dovuto in gran parte alle delusioni che il governo di Lula, di cui lei era il Ministro dell’ambiente, aveva provocato sui temi ambientali ed ecologici. Nel resto dell’Europa, i Verdi hanno avuto un grande successo con percentuali oltre il 10%. Lo si è visto in paesi come l’Inghilterra, dove il sistema elettorale rende quasi impossibile per un piccolo partito eleggere un parlamentare. Però adesso c’è una verde nella Camera dei Comuni, perché nel suo collegio ha vinto, quindi avrà preso ben oltre il 30%. In paesi come la Danimarca, il Belgio, l’Olanda, e soprattutto la Germania e l’Austria, i Verdi sono andati ormai a percentuali superiori al 10%, arrivando anche al 12%. In Germania hanno fatto due tornate elettorali, le europee e il Bundestag, che è la Camera bassa tedesca, l’unica eletta direttamente, e hanno ottenuto percentuali enormemente superiori in alcuni lander. E in alcune città hanno vinto. Ma oggi i sondaggi -i sondaggi non sono voti reali, però sono quanto meno segni di tendenza- stanno dando i Verdi intorno al 20-25%, cioè più del doppio di quello che finora hanno realmente avuto, e in città come Berlino nei sondaggi arrivano a percentuali del 40%, cioè numeri incredibili. Ho detto del Centro-Nord Europa, ma c’è un’eccezione, che è appunto la Francia, che è un paese mediterraneo, come la Spagna, come l’Italia, come la Grecia, come il Portogallo, che non è un paese mediterraneo, ma comunque è un paese del Sud Europa. In questi paesi i Verdi hanno storicamente fatto sempre enorme fatica a decollare, non raggiungendo mai percentuali al di sopra del 2-3%, anche se poi i primi Verdi europei ad entrare al governo sono stati paradossalmente i Verdi italiani, nel ’96 con Prodi. Il Cohn Bendit di oggi, che ha un enorme prestigio a livello politico e anche culturale, ha dovuto riprendere l’iniziativa in Francia avendo come primo interlocutore i Verdi francesi, che nelle presidenziali del 2007 vinte da Sarkozy, elezioni dove è difficile avere grandi consensi, hanno preso il 2,7%, cioè percentuali analoghe a quelle italiane. Cohn Bendit è riuscito a mettere in atto un fenomeno un po’ simile a quello di Marina Silva in Brasile, con l’aggiunta però che, attorno alla sua figura, e attorno a Europe Ècologie, è riuscito a raccogliere i filoni più diversi dell’ecologismo politico francese, inteso nel senso che ho detto prima: ecologia ambientale, ecologia sociale, ecologia urbana, ecologia politica, ecologia delle istituzioni… Ecco, oggi Cohn Bendit, che non è un estremista, ma un riformatore, un innovatore, che ha una cultura di governo, e la capacità di sondare il terremoto sociale che è in corso in Europa, è riuscito a mettere insieme Bovè, più volte finito anche in carcere, movimentista fondamentalista ma autentico, legato alle questioni dell’agricoltura, degli ogm, dell’agricoltura biologica, della lotta contro i grandi padroni delle multinazionali, con il fondatore di Greepeace in Francia, con Eva Joly ex magistrato, probabile candidata alle presidenziali del 2012, con le varie anime dell’ ecologismo francese, che soltanto in piccola parte avevano avuto finora uno sbocco nei Verdi francesi, che pure adesso hanno una leader di un certo carisma, Cécile Duflor, una donna molto giovane che ha saputo agganciare questo ponte che le gettava Cohn Bendit… Il quale è un verde, è il co-presidente dei Verdi al Parlamento europeo dalla seconda legislatura, quindi non è uno che dall’esterno fa queste cose, è uno che dall’interno mette in discussione l’eccessivo minoritarismo, l’eccessiva chiusura dei Verdi francesi, dilaniati anche loro da diatribe interne come succede spesso nei piccoli partiti, e riesce a costruire una rete orizzontale, Europe Ècologie, che mette insieme tutti questi pezzi di un’ecologia politica vista in una chiave che supera il vecchio e tradizionale ambientalismo. Non lo nega, anzi ne fa propri tutti i contenuti, ma lo supera in una visione fortissimamente europeista, in una Francia che è stata responsabile dell’affossamento della Costituzione europea. Nel corso dei mesi di ottobre e novembre si sono realizzate in Francia una serie di convention regionali e nazionali per dare finalmente una prima struttura a Europe Ècologie, che prima era solo un’alleanza in un progetto comune…
Alla base di questo successo, quanto pesa che questo nuovo ecologismo sia percepito, almeno da molti, come un superamento della destra e della sinistra?
Beh, devo dire che questa è una cosa che stava nelle origini dell’ ecologismo politico anche in Italia. Oggi si usa riciclare la frasetta “non siamo né di destra né di sinistra, ma avanti”, attribuendola ad Alex Langer, ma è una semplificazione un po’ banale e Alex non l’ha mai detta in questi termini. La sostanza è che la questione ecologica, qualcosa di più complesso, di più largo, di più onnicomprensivo della questione ambientale, rappresenta un filone culturale che va al di là delle contrapposizioni ideologiche che hanno la loro origine alla fine dell’ Ottocento, per una sua connaturata trasversalità sociale, culturale, e per la sua capacità di rapportarsi con l’intera società. Le ideologie tradizionali sono arrivate “al capolinea”. Dahrendorf lo ha scritto in un libro di 25 anni fa, intitolato “La fine del secolo socialdemocratico”. Questo fenomeno, tutt’altro che negativo, stava esaurendo la spinta propulsiva, e degli osservatori attenti, non settari, erano in grado di capirlo da tempo. E come sempre succede, questi fenomeni si capiscono ma poi ci mettono decenni per dispiegarsi. Dahrendorf diceva queste cose mentre la socialdemocrazia “imperava”, governando tre quarti dell’Europa. Oggi tre quarti dell’Europa, forse più, è governata dal centro o dalla destra.
La caduta del muro si pensava che avrebbe spianato il terreno per la socialdemocrazia, e invece le è caduto addosso… Fondamentalmente perché non ha fatto i conti con la propria storia. Se si guarda all’Italia, dal punto di vista sociale e amministrativo la vera socialdemocrazia era il Partito Comunista. E il PCI ha cambiato vari nomi, ma non è mai riuscito a fare davvero i conti con la sua storia.
Tornando alla conversione ecologica, Langer sembra di grande attualità…
La conversione ecologica, come l’ha teorizzata Alex Langer, che in realtà non era un teorico ma uno che rifletteva sempre sui fenomeni reali, ha a che fare proprio con un cambiamento profondo della società e delle persone, cambiamento che riguarda la cultura, gli stili di vita, i modelli di comportamento, e tutto questo visto non in chiave imperativa, cioè di governo autocratico ecologista che impone limiti e modelli, ma visto come la desiderabilità sociale e culturale di questo cambiamento profondo, che quindi richiederà decenni e decenni. Alex è morto ormai 15 anni fa, ma queste cose che scriveva negli anni Novanta, oggi sono ancora più attuali di quando lui le scriveva.
Tornando alla Francia, va detto che Europe Ècologie ha saputo tener conto di quello che è stato seminato negli ultimi decenni in Europa. In Francia però non aveva dato un prodotto politico adeguato; stiamo parlando proprio di soggetti politici, non di associazioni, che sono meritorie, ma di per sé fanno un lavoro diverso da chi fa politica. Su questo piano, sia pure con exploit come quello delle famose elezioni europee in cui i Verdi presero il 10%, ma poi ripiombando alle percentuali precedenti intorno al 2-3%, Cohn Bendit ha saputo recuperare questa dimensione che io chiamo della trasversalità, tant’è vero che nella prima fase ha cercato di dialogare, non dico di allearsi, ma di dialogare anche con Sarkozy, che appena eletto aveva instaurato gli stati generali dell’ambiente. Poi purtroppo la maggior parte delle cose positive uscite dagli stati generali dell’ambiente son rimaste lettera morta, così come la maggior parte delle cose uscite da quella Commissione sulle riforme, di cui aveva fatto parte anche Bassanini. Però Europe Ècologie ha dimostrato la capacità di parlare con tutti i settori sociali, ovviamente dando identità a un soggetto politico. La sua esperienza è, dal punto vista politico-culturale e anche sociale, forse la più innovativa che si è verificata in Europa, superando per alcuni aspetti i Verdi tedeschi. E non a caso ha rapidamente avuto un consenso che ha eguagliato le soglie che i Verdi tedeschi hanno impiegato 30 anni per raggiungere. Adesso bisogna vedere se questo avrà un suo aspetto durevole, per usare un’espressione cara agli storici francesi. Io penso di sì, proprio perché partita come fenomeno legato a una forte leadership anche carismatica, ma non utopistica, non massimalistica, non fondamentalista, Europe Ècologie sembra capace di diventare molto pragmatica, molto riformatrice, e innovativa sul piano culturale.
Quindi la crisi economica sposta una parte della società verso un populismo di destra, e un’altra parte, stante la crisi della socialdemocrazia, trova nell’ecologismo una sua forma di rappresentanza?
Sì, questo è quello che ho cercato di dire. In un panorama europeo dove nell’arco di 20 anni è successo che: primo, si è passati da una maggioranza socialdemocratica ad una maggioranza di destra, caratterizzata prevalentemente da un populismo di destra; secondo, che anche dove al governo c’è una destra liberale o conservatrice, ci sono fenomeni di populismo di destra che stanno crescendo a destra di questi governi di destra; e, terzo, che, contemporaneamente, assistiamo alla crisi epocale della socialdemocrazia. In questo panorama, l’ecologismo sta rappresentando l’unico elemento di innovazione, che da solo ovviamente non risolverà i problemi, da solo non è che riuscirà a governare i paesi, salvo a livello locale, ma è già un termine di confronto e di paragone che costringe anche le altre forze politiche, sia di destra che di sinistra, a rapportarsi con queste tematiche. Come sta succedendo in Francia dove Europe Ècologie, non solo è riuscita probabilmente a recuperare settori di consenso potenzialmente populisti che avrebbero potuto finire con la destra, ma ha saputo condizionare pesantemente i socialisti francesi, ai quali la lezione è servita, perché i socialisti francesi, che hanno attraversato una crisi spaventosa, sono adesso in una fase di discussione al loro interno per cercare di capire cosa stia succedendo. E la stessa cosa sta accadendo altrove, perché la Merkel e anche Cameron sembrano molto più attenti alle questioni ecologiche o ambientali di qualunque governante italiano o oppositore italiano, di destra o di sinistra. Cioè in questi paesi anche i governi di destra, conservatori o liberali che siano, affrontano i problemi ambientali ed ecologici in modo aperto, li inseriscono ai vertici della loro agenda politica, grazie secondo me al fatto non solo che i problemi esistono, ma che c’è l’emergenza di un soggetto politico nuovo come forza, come incidenza, come consenso, che impone a tutti, sia a sinistra che a destra, di fare i conti con questa realtà. In Italia tutto questo non sta avvenendo.
La perplessità che viene è questa: le radici della sinistra e della destra, che arrivano fino all’Ottocento, affondano nel conflitto di classe. Il populismo di destra è una risposta che cerca di mettere da parte il conflitto di classe. Non a caso questo populismo di destra mette insieme strati sociali molto diversi. Mi sembra che l’ecologismo nel dichiarare che l’ecologia è trasversale faccia altrettanto. Ma in realtà il conflitto di classe permane. Chi se ne occuperà?
Il conflitto di classe permane, non solo, ma negli ultimi decenni abbiamo una divaricazione sociale enormemente più radicalizzata di quanto ci fosse prima. Quello che cambia sono le forme in cui questo si manifesta, cioè la frantumazione sociale, la perdita di centralità della fabbrica, la decomposizione anche dei soggetti politici e sindacali, che in qualche modo dovrebbero rappresentare questo conflitto. Fenomeni di iper-arricchimento, prima di tutto sul piano finanziario, ma anche di molti manager, a fronte di un progressivo impoverimento di strati sociali –occupati, disoccupati, sotto occupati, precari, marginali o ceto medio che si impoverisce- non c’erano stati nei decenni precedenti. Il problema è che tutto questo avviene in presenza di una grande frammentazione sociale e di un certo sbandamento culturale… Insomma, c’è poco da fare, nel Nord Italia la basa sociale della Lega è prevalentemente di classe operaia, popolare, proletaria. Nelle fabbriche del Nord oggi, non tutte per carità, ci sono gli operai della CGIL che votano Lega. Ma mi ricordo che quando ancora non esisteva la Lega Nord ed esistevano solo le varie leghe nascenti, a metà degli anni Ottanta, da una ricerca dell’Istituto Gramsci veneto, emergeva che la maggior parte del consenso popolare alla Liga Veneta che stava nascendo allora veniva dalla base del Partito Comunista, cioè da gente che in precedenza aveva sempre votato Partito Comunista. Questo per dire che non è un fenomeno del terzo millennio, è un fenomeno che ha cominciato a costruirsi, e a scavare, nelle basi popolari del Partito Comunista e della Democrazia Cristiana, tant’è vero che l’esplosione della Lega avviene quando crolla il vecchio sistema politico, dopo l’89.
Quando si pensa alla crisi della sinistra, alla fuga degli operai, ci si dimentica spesso che in Italia ci sono alcuni milioni di persone, almeno due milioni e mezzo, forse di più, che fanno i lavori peggiori, che si sentono sfruttati fino in fondo, e che non hanno né diritto di voto, né rappresentanza organizzativa, nè conoscono i loro diritti…
Gramsci diceva: i partiti sono la nomenclatura delle classi, il Partito Comunista era il partito della classe operaia. Oggi non potrebbe essere così per nessuno, e non avrebbe neanche senso, però dal non essere più classisti in senso tradizionale a perdere ogni legame con gli strati popolari… E ricordiamoci che la DC all’epoca si definiva interclassista, perché metteva insieme l’operaio cattolico con l’imprenditore cattolico…
Ma non c’è il timore che anche l’ecologismo rischi di diventare un movimento che non riesce a dialogare con la parte bassa della società?
Questo rischio c’è, anche se in questo momento non lo ritengo il rischio maggiore, lo vedrei più in una prospettiva di crescita.
L’ecologismo, non solo in Italia, è stato prevalentemente un fenomeno post materiale. Cioè è stato un riconoscimento politico, culturale, anche intellettuale e teorico, oltre che pratico, di settori sociali, più che di strati sociali, che in qualche modo non avevano come problema prioritario la sopravvivenza, cioè il mangiare, il dormire, la casa, il lavoro: un fenomeno post materialista. Fin dall’inizio, ci furono sociologi che studiavano questi cambiamenti fra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta. Io ricordo Ronald Inglehart, uno studioso anglosassone, che a metà degli anni Ottanta scrisse un libro molto bello, “La rivoluzione silenziosa”, che analizzava che cosa stava cambiando sotto la crosta, e aveva individuato questi cambiamenti del passaggio dai valori materiali ai valori post materiali, dai movimenti onni totalizzanti, onnicomprensivi, a movimenti per singoli temi, per singoli valori, per singoli obiettivi: l’ambiente, il nucleare, il consumo, la pace. Certo quello era anche un periodo di grande sviluppo dei movimenti pacifisti, e in qualche modo quella era la radice sociale e culturale della nascita dei nuovi movimenti. Non c’è dubbio quindi che l’ecologia politica, intesa nel senso complesso che ho detto prima, ecologia ambientale, sociale, umana, della mente, delle istituzioni, ha a che fare con tutta la società nel suo insieme, e con tutti gli strati sociali, e quindi se vuole avere un futuro, in Italia, in Europa, nel mondo, deve avere la capacità di dare una prospettiva, diversa dall’attuale modello di sviluppo, anche agli strati sociali popolari. La deve dare sia in termini di modello economico, sia in termini culturali, perché abbiamo accennato al fatto che fenomeni di populismo di destra, non solo la Lega in Italia, ma anche negli altri paesi europei, hanno purtroppo una forte incidenza negli strati sociali più poveri, che vedono l’immigrazione con paura, che sentono l’insicurezza sociale, che hanno paura del futuro, che hanno l’incertezza del posto di lavoro, che vivono fenomeni di precarietà e fenomeni di emarginazione. Tuttavia oggi il problema più grosso in Italia, a mio parere, è quello di riuscire a individuare le persone, i gruppi, i movimenti, la cultura politica, il programma di un movimento ecologico. Non parlerei di ideologia, perché è una parola che è stata superata dal movimento ecologista fin dalle sue origini, ma parlerei di visione politica e anche di passione politica, perché senza visione e senza passione non si riesce a mobilitare le persone, a creare consenso, a creare speranza, a creare fiducia, a creare una svolta anche mentale. Ecco, questo è nell’immediato la sfida più grossa. Ma è evidente che un nuovo soggetto politico ecologista, che ricomprenda anche i Verdi, deve però andare ampiamente oltre i Verdi storici italiani, che hanno sofferto tutte le debolezze dei Verdi nei paesi mediterranei del Sud Europa, ma a queste hanno aggiunto anche errori politici clamorosi.
I risultati sono lì a dimostrarlo. Ma quali sono stati questi errori?
Intanto e sicuramente l’avere abbandonato troppo presto –in realtà non avrebbe dovuto essere abbandonato mai- proprio quel fenomeno di forte innovazione culturale, di trasversalità politica e sociale che era nel DNA delle origini del fenomeno ecologista. Poi nell’aver fatto male i conti col cambiamento del sistema politico elettorale. Non era facile, intendiamoci. I Verdi nascono col sistema proporzionale e poi dal ’94 devono misurarsi col nuovo sistema elettorale che impone le coalizioni, e scelgono –io credo naturalmente- di stare con la coalizione di centro-sinistra in alternativa a quella di centro-destra. Ma nel fare questo abbandonano la potenzialità, più che la capacità, di riuscire a parlare anche a settori sociali che votano centro-destra, ma che sono attenti e sensibili –e ci sono- anche alla questione ecologica e alle questioni ambientali. Già dal ’94, alla prima applicazione del nuovo sistema elettorale, i Verdi come tali non si caratterizzano più e si presentano coi progressisti. Già la parola: non c’è niente di più antitetico alla concezione ecologica della società, come la parola “progressista”, che è frutto della mentalità industrialista e da Terza Internazionale. Successivamente c’è invece, a mio parere, un aspetto positivo, che è di tutti, non soltanto dei Verdi, cioè la nascita dell’Ulivo di Prodi. I Verdi, e questa a mio parere è stata una scelta intelligente all’epoca, sono soci fondatori dell’Ulivo di Prodi, con il PDS e i Popolari. Questa cosa dà ai Verdi una loro identità, li colloca non in una cultura di opposizione, ma in una cultura di governo, si potevano perdere o vincere le elezioni, ma la logica era quella di una cultura di governo, una cultura riformatrice che governa. La svolta a mio parere che invece ha determinato l’inizio del declino, è quando negli anni Duemila, dal 2001 in poi, i Verdi si collocano -con mio totale dissenso- sempre di più all’estrema sinistra, quella che sui giornali di allora viene chiamata la sinistra radicale, la “Cosa rossa”. I Verdi nella “Cosa rossa” si collocano in quella che io chiamo anche oggi una specie di riserva indiana, ma sempre più consumata. Cioè inizialmente era una cosa che poteva andare fra il 10 e il 15%, ma progressivamente non poteva che calare, perché in esaurimento era il fenomeno ideologico di riferimento, cioè il comunismo e il post comunismo, senza nessun disprezzo né per i comunisti nè per i post comunisti, ma era un fenomeno finito storicamente, con cui l’Italia, dopo l’89, non aveva fatto i conti. Allora, che i Verdi che nascono dalla fine delle ideologie totalizzanti, dal superamento delle ideologie ottocentesche, dal superamento dell’industrialismo come universo culturale, dalla necessità di una trasversalità, si vadano improvvisamente a collocare nella “riserva indiana” della sinistra radicale, della “Cosa rossa”, è una scelta suicida che non poteva che finire com’è finita. Per anni, nelle immagini televisive, nei resoconti, si sentiva tutte le sere dire: “Rifondazione comunista, Comunisti e Verdi… Verdi, Comunisti e Rifondazione comunista… si sono opposti… hanno protestato”. Sempre, cioè per un decennio circa, quella fu la caratura dei Verdi, cioè di essere una forza dichiaratamente ecologista, ma in realtà collocata in un ambito neanche post comunista, ma addirittura comunista. E’ stato un impoverimento programmatico, e soprattutto un impoverimento culturale. Questa cosa poi ha avuto la sua sanzione definitiva, in un uno-due micidiale, -politiche ed europee-, da stendere al suolo chiunque. Prima la scelta di andare alle elezioni politiche del 2008 con un’alleanza, un cartello elettorale, denominato “Sinistra arcobaleno” in cui c’erano tutti quei soggetti. E’ la fase folle della scelta di Veltroni dell’andar da soli, e in realtà va con l’Italia dei valori, che era al 2% all’epoca, e adesso è all’8, e della vocazione maggioritaria, cioè la fase di impazzimento generale. Ma in questo impazzimento generale, che perdura ancora, Berlusconi vive innanzitutto sugli errori del centro-sinistra, non sulla forza propria. Per me è inconcepibile pensare che la gente possa votare per il centro-sinistra soltanto perché il centro-sinistra ogni giorno dice che Berlusconi deve dimettersi, e lo dice perché c’è la escort, perché c’è la Noemi, perché c’è la Ruby. Su questo terreno si può sputtanare Berlusconi, ma non si costruisce un’alternativa di governo. Poi l’anno dopo c’è un “perseverare diabolico”: 2009, elezioni europee, i Verdi fanno la scelta, con mio totale dissenso, di entrare in Sinistra e Libertà, non il partito oggi di Vendola, ma il cartello elettorale che si rifiutò addirittura di mettere la parola “ecologia”. Adesso, che dentro non ci sono più i Verdi, l’hanno messa… Ennesima catastrofe, determinata anche dal fatto che Veltroni e Berlusconi si misero d’accordo negli ultimi due mesi di cambiare la legge elettorale e, da nessuna soglia, improvvisamente mettere la soglia del 4%, che non aveva nessun significato in Europa, dove non c’è nessun problema di governabilità.
E adesso che succede? Che possibilità ci sono di costruire un movimento ecologista anche in Italia?
La cosa chiara è che il riferimento costante al quadro europeo fa emergere che le potenzialità di un soggetto politico ecologista laico, aperto, plurale, capace di rapportarsi a tutta la società, di essere innovativo nei contenuti culturali, sono enormi, non solo in Europa, ma anche in molti altri paesi del mondo. I Verdi oggi sono inadeguati, radicalmente inadeguati. Dobbiamo superare i Verdi in una prospettiva ecologista che dia vita a un nuovo soggetto politico ecologista che superi questi errori storici. Da lì inizia questo nuovo percorso. I Verdi, come sono oggi, dopo la svolta salutare, ma troppo tardiva, di Fiuggi, possono essere uno strumento utile e importante al servizio di questa prospettiva strategica della Costituente ecologista. Io spero che da parte dei Verdi attuali ci sarà l’intelligenza e la volontà di non voler avere un ruolo egemone, di non voler essere loro da soli protagonisti di questa prospettiva, e anzi di avere l’accortezza di costruire insieme a molti altri questo progetto.
Sembra stretto lo spazio che la Costituente può avere in questo momento tra l’Italia dei Valori e Grillo…
C’è un fatto strutturale del sistema politico italiano, e cioè che non c’è nessuna forza politica che sia davvero in grado di rendere biologicamente degradabili i Verdi, cioè di dire “mi son fatto carico io della questione ecologica”, e purtroppo questo vale prima di tutto per il principale partito del centro-sinistra, cioè per il PD. Io apprezzo Bersani per aver chiuso il capitolo dell’autosufficienza di Veltroni, apprezzo che abbia vinto le primarie proprio sulla necessità di rilanciare la politica delle alleanze, ma poi nel merito, nei contenuti, quando Bersani parla, pur essendo uomo capace e intelligente, non c’è la sottovalutazione, ma c’è la totale assenza di qualunque tematica ecologica e di qualunque consapevolezza di che cos’è la questione ecologica nel mondo di oggi. Neppure nel linguaggio, neanche per ragioni opportunistico-rituali, cita mai, di fianco al lavoro e alla crisi, i cambiamenti climatici, le energie rinnovabili, la raccolta differenziata dei rifiuti, il cambiamento degli stili di vita, che poi son quelle cose che colpirebbero anche un po’ la passione e l’umanità del cittadino. Perché ci vuole anche un po’ di motivazione forte, ci vuole l’agire con il cervello, ma ci vuole anche un po’ il colpire le viscere della gente, perché oggi le viscere della gente sono colpite in modo regressivo solo dalle campagne xenofobe, razziste, e dalla paura. Rispetto a Sinistra Ecologia e Libertà, a Firenze s’è visto un filone tradizionale della sinistra e del sindacato, il sinistrese e il sindacalese come linguaggio politico. Lì c’è un universo culturale che è quello della vecchia sinistra radicale, sia pure separata oggi da Rifondazione comunista e dai Comunisti Italiani. Non mi pare, anche se c’è un certo successo di consenso nei sondaggi, soprattutto legato alla figura di Vendola, che è un personaggio carismatico, che ha un suo ruolo e una sua credibilità, che da lì possa venir fuori nulla di nuovo. E la prova ce l’abbiamo: lì, l’intervento congressuale europeo osannato è stato quello del rappresentante della Linke, che è esattamente un partito erede dei Comunisti della Germania Est e della sinistra massimalista dei socialdemocratici dell’Ovest; quell’intervento, che ho ascoltato con molta attenzione, è stato molto applaudito, ma è un intervento politicamente e culturalmente vecchio e rappresenta in Germania, come in Italia, un’area che c’è, ma che è storicamente residuale. Per Grillo il ragionamento è diverso: Grillo ha in qualche modo succhiato tutti i contenuti ecologisti dei Verdi, ha preso tutto quello che poteva prendere e lo ha trasformato in un randello da dare in testa al sistema politico esistente, non lo ha trasformato in un programma, in una proposta, in una cultura alternativa ecologista di governo da proporre per salvare l’Italia. In Italia poi c’è un berlusconismo dilagante e anche a sinistra si costruisce un ruolo mediatico, si usa il populismo, lo fa Vendola, in modo più accorto, lo fa Di Pietro, lo fa Grillo. In Grillo c’è una forte presenza di contenuti ecologici, ma una totale assenza di proposta programmatica, e soprattutto di cultura di governo. Ma non la vuole; dichiara di non volerla. La presenza di Grillo alle elezioni piemontesi è stata determinante per far perdere la Bresso, noi possiamo dire sicuramente che errori ne hanno fatti anche il centro-sinistra e la Bresso, soprattutto sulla questione della TAV e Grillo ha avuto il successo che ha avuto in Piemonte soprattutto sulla questione della TAV, però è stato assolutamente indifferente al fatto che quel modo di far politica e quell’essere programmaticamente sganciato da qualunque coalizione è stato determinante per far vincere la Lega. E la sua risposta, che per un comico è anche  simpatica, ma per un  politico è irresponsabile: “ma non è vero che io ho fatto perdere la Bresso, è la Bresso che ha fatto perdere me”, fa capire la totale assenza dell’etica della responsabilità, che secondo me, accanto al principio di precauzione e al principio speranza, è l’alternativa al fondamentalismo.
Un’ultima battuta: cosa pensi della crisi di Governo?
Forse in sintesi basterebbe dire che siamo di fronte all’inizio della fine del berlusconismo, ma solo all’inizio della fine, non alla fine. E che però, anche nel momento in cui ci sarà, e prima o poi ci sarà, noi oggi non sappiamo se ci sarà un centro-sinistra all’altezza di una alternativa di governo, credibile da parte della maggioranza dei cittadini. Col paradosso che c’è il rischio che cada l’attuale governo Berlusconi, che si arrivi prima o poi alle elezioni anticipate e che possa rivincere ancora una volta Berlusconi! Cosa che non mi auguro, ovviamente, ma perché questo non avvenga c’è ancora molta strada davanti alle forze grandi e piccole del centro-sinistra, per ricostruire una proposta programmatica, una credibilità politica, un’alleanza plurale, che non sia solo la sommatoria degli anti-berlusconiani.

 da:
http://gliecologisti.wordpress.com/2010/12/14/la-parola-ecologia-intervista-a-marco-boato/

sabato 11 dicembre 2010

Ancora 4 domande a Monica Frassoni

Cara Monica, nel rinnovarti le mie congratulazioni per il prestigioso riconoscimento ottenuto (32° posto nella classifica 100 top global thinkers -coloro che hanno dato un contributo al progresso del mondo- dalla rivista Usa Foreign Policy. La prestigiosa rivista americana premia altre tre donne verdi: Cécile Duflot, la presidente dei verdi francesi che ha fatto balzare il partito al 16 per cento; Renate Kunast, capogruppo al Bundestag dei verdi tedeschi, protagonisti di un exploit clamoroso che li ha portati ad aumentare di dieci punti in una sola tornata la loro forza elettorale; Marina Silva, il terzo incomodo delle elezioni presidenziali in Brasile, l'ecologista che ha incassato venti milioni di voti), non posso che rinnovarti una serie di domande:
  1. Secondo te perché questo riconoscimento è toccato a te ed altre tre prestigiose donne verdi e non a Vendola e rifondatori vari della sinistra?
  2. Riesci a vedere la differenza della posizione politica delle tue tre colleghe nei rispettivi paesi e la tua in Italia?
  3. Stiamo lavorando duramente a tentare di unire percorsi che in modo spontaneo nascono dal basso in funzione di creare una nuova soggettività politica in grado di, o tendente a, rappresentare quella “moltitudine inarrestabile” ben descritta da Paul Hawken. La Costitente Ecologista ne è una parte. Lo capisci che un tuo impegno in prima persona in questo senso favorirebbe non poco questo processo?
  4. Tutto ciò non significa "tradire" Vendola o gli amici di SEL, ma riportare i vari processi in un quadro teorico-politico chiaro e non alimentare ulteriormente la cronica anomalia italiana.
Un abbraccio
Pietro Del Zanna

giovedì 9 dicembre 2010

La necessità di pensare l'ecologia in termini soprattutto qualitativo-relazionali

Un nuovo Ecologismo

di Massimo Paupini
Credo che non si preciserà mai abbastanza che il nuovo ecologismo che stiamo vedendo crescere un po' in tutto il mondo, dal Giappone (è di poco tempo fa l'elezione di una ecologista a sindaco di una città di quasi 500.000 abitanti ), al continente sudamericano (Brasile, 20% alle presidenziali, Colombia, il candidato ecologista al ballottaggio ancora alle presidenziali) e ovviamente un po' ovunque nella nostra Europa, dalla Lituania (20%) alla Svezia, alla Francia, alla Germania. addirittura in sorpasso sulla SPD nei sondaggi, ecc., è piuttosto lontano dal vecchio ambientalismo nostrano ed anche dal "neo-ambientalismo" di cui hanno parlato diversi articoli sul Manifesto nelle ultime settimane.

E' lontano perchè in ambedue le versioni si ricava un significato parziale, condivisibile, ma comunque parziale. Mi piace l'espressione con cui indicano in Sud America quello che mi sembra proprio della visione ecologista: bien vivir, vivere bene, stare bene tra gli esseri umani e tra gli esseri umani e la natura: i due aspetti sono assolutamente imprescindibili l'uno dall'altro, per cui i problemi del lavoro, i diritti sociali, i diritti delle donne, delle minoranze, dei diversamente abili, dei migranti, in una parola dei "dannati della terra", sono almeno altrettanto importanti dell'inquinamento ambientale, dei rifiuti, dei problemi energetici..


Questa visione ecologista è comunque ( per fortuna ) assai variegata; si può distinguere tra gli altri un aspetto più quantitativo, "scientifico"( tra molte virgolette ) che si può forse sintetizzare nell'idea di impronta ecologica e che ancora una volta è un aspetto in sè valido, utile, ma parziale e con una impostazione" catastrofista" ( ad agosto abbiamo già consumato le risorse del pianeta di tutto l'anno...se tutti consumassero come gli americani ci vorrebbero cinque pianeti..) che troppo spesso dai tempi del primo rapporto al Club di Roma (i limiti dello sviluppo, 1972) si è rivelato il famoso " al lupo…al lupo" molte volte a sproposito e che fino a tempi recenti ( o forse ancora oggi? ) ci ha appiccicato addosso l'immagine degli ecologisti come profeti di sventure, capaci solo di vedere tutto in negativo e incapaci di proporre soluzioni in positivo. Un'altro aspetto, più simbolico-evocativo, ci porta all'idea che questa società "semplicemente" non ci piace, non solo per la crescita distruttiva senza limiti, ma soprattutto perchè distrugge i rapporti sociali attraverso cui tradizionalmente si dava un senso all'esistenza. Per cui, se anche i grandi problemi socio-economico-ambientali (inquinamento, lavoro, materie prime in esaurimento, ecc.) potessero essere in qualche modo risolti con ipotetiche nuove tecnologie ( come d'altra parte sostengono la maggior parte di illustri pensatori e scienziati, nonchè gli idioti alla G.W. Bush, -" la crescita è la soluzione, non il problema"-) rimarrebbe il nodo cruciale di come ricreare i legami sociali distrutti.

Da qui la necessità di pensare l'ecologia in termini soprattutto qualitativo-relazionali che ci porti a rivedere i "valori" ( termine peraltro, secondo Illich, da usare con le pinze) su cui fondiamo le nostre società e le nostre vite. In questa ottica la visione ecologista porta l'idea di un cambiamento radicale delle attuali società Occidentali o occidentalizzate cui si può tendere utilizzando diverse, parziali ma non contrapposte idee di società, dalla green economy alladecrescita, alla blue economy alle città in transizione, nella fondamentale convinzione che "non esiste il colpo grosso.....l'atto liberatorio che possa aprire la via verso la conversione ecologica: I PASSI DOVRANNO ESSERE MOLTI , il lavoro di persuasione da compiere enorme e paziente" Alex Langer 1994 .

Massimo Paupini (09 - 12 - 2010)

da http://www.gruppocinqueterre.it/node/707

mercoledì 8 dicembre 2010

GAT: Gruppo Acquisto Terreni a Scansano (GR)


Il "nuovo mondo" del Gat (Gruppo Acquisto Terreni) di Scansano


LIVORNO. Cambiare il "sistema" dal basso con una scelta radicale e allo stesso tempo "naturale". Secondo un gruppo di 3 coppie di giovani è possibile farlo. Il progetto è ambizioso, ma anche molto chiaro: comprare un terreno nella bellissima campagna di Scansano attraverso un Gruppo di acquisto e vivere con i frutti della terra coltivati secondo metodi biologici. Un progetto al quale possono partecipare, con le 100 quote messe a disposizione, 51 soci. Emanuele Carissimi, 38 anni, di Bergamo, è uno dei promotori. Spiega così a greenreport.it il senso dell'iniziativa: «Osservando il modo in cui l'attuale crisi globale stava interessando e condizionando la nostra esistenza, la mia compagna ed io abbiamo cercato una risposta che coniugasse il desiderio di una scelta "ecologica" e la necessità di migliorare la qualità della nostra vita», racconta Emanuele.

«Inizialmente, nel nostro piccolo, abbiamo rivolto l'attenzione all'aspetto ambientale. Abbiamo messo a frutto le nostre competenze in campo agricolo, studi superiori e laurea, ed approfondito le nostre conoscenze sui sistemi di coltivazione "alternativi" (permacultura, orto sinergico, coltivazione naturale, etc.), sperimentando e mettendo in pratica le nostre capacità nei piccoli spazi a disposizione. Verificate la potenzialità e l'attuabilità del know-how acquisito, si è fatto strada in noi il desiderio di un radicale cambiamento del nostro stile di vita; i nostri sforzi, tuttavia, pur rivelatisi un'ottima soluzione "ecologica", non rispondevano ancora in modo soddisfacente alle nostre necessità"economiche e sociali». Sotto il profilo finanziario, infatti, i fondi a nostra disposizione non erano sufficienti per ampliare il "sistema" e dal punto di vista sociale volevamo aumentare la partecipazione e la condivisione, sviluppare cioè una sorta di "aggregazione».


Ecco allora che nasce l'idea di ripercorrere l'esperienza del Gruppo acquisto Terreni e dell'iniziativa già in opera in provincia di Mantova. A loro, Emanuele, chiede un aiuto per realizzare un sogno: la creazione di un centro di educazione ambientale e agriturismo naturale, che preveda la possibilità di vendere i prodotti senza intermediari, in modo da ottimizzare i margini, e che permetta un buon livello di autosufficienza, sia alimentare sia energetica, al fine di contenere i costi.


Per mettere il pratica la "piccola rivoluzione" è prevista la suddivisione dell'impegno economico per l'acquisto e la messa in produzione dell'azienda in 100 quote, e la creazione di una Società agricola S.r.l. composta da almeno 51 soci. Questo dovrebbe permettere di superare lo scoglio economico utilizzando lo spirito di partecipazione e di aggregazione dei soci. E' nato così il progetto "G.a.t di Scansano", che secondo Emanuele dovrebbe coniugare etica, ambiente ed economia, tutelando il patrimonio investito e prospettando utili per i soci investitori. L'iniziativa è già in fase attuativa e sono aperte le sottoscrizioni per le rimanenti quote societarie.



da: http://www.greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=8005&mod=greentoscana

lunedì 6 dicembre 2010

Enti locali per il clima

Il “Tavolo di lavoro nazionale enti locali per il clima” avanza le sue proposte al governo

FIRENZE. Gli Enti locali e le associazioni per il clima riuniti nel "Tavolo di lavoro nazionale", ribadiscono al governo le loro richieste e disponibilità per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici attraverso un'azione da espletare su scala locale considerato che l'80% delle emissioni di gas serra di origine antropica sono prodotte nei centri urbani.

Tra i punti fermi la conferma del pieno appoggio agli obiettivi europei del 20-20-20, l'adesione alla proposta di un "Patto territoriale delle Regioni e delle Autorità Locali nell'ambito della Strategia Europa 2020" formulata dal Comitato delle Regioni e la possibilità di elevare al 30% l'obiettivo di riduzione delle emissioni di gas climalteranti. La richiesta avanzata al Governo Italiano, oltre ad essere coinvolti attivamente nella redazione di un Programma nazionale per il Clima, riguarda la necessità di escludere dal Patto di Stabilità gli investimenti locali in progetti finalizzati alla mitigazione e all'adattamento al cambiamento climatico, tramite maggiore ricorso all'efficientamento, al risparmio energetico e all'utilizzo di fonti rinnovabili. Il testo presentato oggi, ma consegnato nei giorni scorsi in vista dell'appuntamento di Cancun, è stato sottoscritto da Agenda 21, Aiccre (Sezione italiana del consiglio dei comuni e delle regioni d'Europa), Alleanza per il clima, Associazione nazionale comuni italiani (Anci), Associazione nazionale dei comuni virtuosi, Istituto nazionale di urbanistica, Kyoto Club e l'Unione province Italiane (Upi).

Le associazioni firmatarie sottolineano inoltre l'urgenza di arrivare a un patto efficace sul clima che sostituisca il Protocollo di Kyoto in scadenza nel 2012 e la necessità di lavorare, come riconosciuto a Copenaghen lo scorso anno, per mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2 gradi centigradi. «Le Città e le Autorità locali italiane individuano in una economia locale a basse emissioni di carbonio, ecologica ed efficiente nell'uso delle risorse l'elemento centrale per il rilancio del Paese e per la creazione di nuovi posti di lavoro non delocalizzabili. Investire sul cambiamento climatico promuove l'innovazione, sostiene il mercato interno e migliora la competitività dell'Italia nel panorama internazionale» concludono istituzioni e associazione del tavolo di lavoro per il clima.

da
http://www.greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=7946&mod=greentoscana