23 LUGLIO 2010
Le acque cristalline sono un lontano ricordo I cartelli sanitari posti da Israele avvisano "Liquami velenosi, gravi pericoli per la salute"
"Vietato battezzarsi per inquinamento". Chi l´avrebbe mai detto che il fiume Giordano, sacro all´incirca a metà dell´umanità (sommando ebrei, cristiani e musulmani) diventasse oggetto di un provvedimento ministeriale di interdizione balneare, come fosse una purulenta costa di Pozzuoli? Proprio così: a due millenni dal Battesimo del Cristo, quelle acque argentine, un tempo ombreggiate da salici, pioppi, tamerici e canneti, movimentate da rapide, piscine e cascate, sono ridotte a un tale velenoso flusso di liquame da meritarsi una sonora bocciatura internazionale. Con tanto d´affissione di cartelli che avviseranno: "Immersione a proprio rischio e pericolo".
Il decreto arriva dal ministero israeliano della Sanità, il quale, nel motivare il bando, cita "gravi pericoli per la salute nel contatto umano con l´acqua altamente inquinata". Si suppone che dal versante giordano, salvo novità, chi vorrà addentrarsi in quel corso potrà farlo, però tappandosi bocca e naso.
Altro che rigenerazione salutare delle fonti battesimali. I centomila e più pellegrini che ogni anno si recano su entrambe le sponde del Basso Giordano per rinnovare le promesse sacramentali, rimpinguando nel frattempo di miliardi di dollari le casse del turismo israeliane e giordane, sono avvertiti. Quel rigagnolo maleodorante, verdognolo, infestato di alghe, per lo più stagnante non è più alimentato dalle acque dolci del Lago di Tiberiade. È, piuttosto, una melma dentro cui si mescolano i rifiuti umani delle popolazioni rivierasche, gli scoli appestati dei terreni agricoli, gli scarichi degli allevamenti ittici, e acque salmastre di varia provenienza.
Insomma, un fiume di escrementi. Tanto che gli ecologisti, in visita al venerabile Giordano, prima di sbarcare sulle Montagne della Giudea usano il bagno di altre stazioni di servizio per non aggiungere "acque nere" a quelle già riversate nel fiume dalle comunità locali. Di recente, s´era visto soltanto qualche sparuto turista russo azzardarsi sul pontile in legno, indossare la tunica bianca simbolo di purezza, e bagnarsi in quell´alveo per guadagnare il perdono dei peccati commessi.
E dire che una volta il fiume lo chiamavano "la porta del Paradiso", tanto il paesaggio era verdeggiante e ameno. Soprattutto, sacro. Questa è terra tre volte santa: per la Torah, per i Vangeli, per il Santo Corano. Chiunque s´avvicini al suo letto agonizzante, procede fra eserciti di ombre profetiche. Qui giunse, fra i primi, il profeta Abramo. Qui Giacobbe ed Esaù si riconciliarono. Giosuè guadò queste acque per raggiungere Canaan. Elia, superate le sponde, s´innalzò verso il cielo sopra un carro infuocato. Elisha vi guarì i lebbrosi.
E ancora, proprio lungo queste rive, Giovanni il Battista esortò i Giudei alla pietà verso Dio, ragliò contro Erode, ottenendo un tale seguito che il tetrarca gli fece mozzare la testa. Venne Gesù, e dal Battista ricevette il "battesimo col fuoco". Più tardi il profeta Maometto sorvolò la valle nel viaggio notturno dalla Mecca verso Gerusalemme.
In altre parole, decenni d´incuria, sessant´anni di guerre col fiume sigillato da reticoli militari, le sponde disseminate di mine, e infine la corsa all´accaparramento delle fonti acquifere regionali, hanno innescato una catastrofe ecologica di tali proporzioni da colpire a morte il cuore delle tre grandi fedi abramitiche.
Non è un caso se proprio una organizzazione non governativa, Friends of the Earth Middle East (FoEME) diretta da israeliani, palestinesi e giordani, e che conta nelle sue file ebrei, cristiani e musulmani, si appella ai rispettivi governanti perché accorrano al capezzale del Giordano. «Israele, Siria e Giordania hanno deviato il 98 per cento delle acque», denunciano. E ammoniscono: «Entro il 2011 il fiume scomparirà». Il magazine Time ha definito i leader di FoEME "eroi dell´ambiente". Servirà davvero un atto di eroismo per convincere, come chiedono gli ambientalisti, «i leader locali a superare le linee del conflitto, e accordarsi su un progetto al servizio della pace».
A me sembra un piccolo paradigma di ciò che dovrebbe accadere più sul piano generale. In nome del bene comune, della terra minacciata, dell'aria, dell'acqua, del cibo per i nostri figli, abbandonare vecchi conflitti, seppur dolorosi, e rimboccarsi le maniche insieme.
RispondiEliminaPietro Del Zanna