lunedì 28 novembre 2011

Acqua ‘salata’ a Firenze: dopo il referendum i cittadini invece di rispamiare pagano di più

La beffa legata al caso Publiacqua, società pubblica al 60% (la parte privata è controllata dalla politica di ogni colore): la gente risparmia sui consumi, ma deve sborsare anche per quello che non ha utilizzato

Il numero uno di Publiacqua, Erasmo D’Angelis, con il suo mentore politico, il sindaco di Firenze Matteo Renzi
L’Ambito territoriale ottimale (Ato) numero 3 del Medio Valdarno (territorio che comprende le 4 province di Firenze, Prato, Pistoia e Arezzo), ha riconosciuto per i prossimi 10 anni al gestore Publiacqua una remunerazione sul capitale investito con un tasso del 7%, che ammonta in totale alla cifra di 294 milioni di euro. A questa cifra occorre aggiungere che gli utenti hanno già pagato in tariffa remunerazioni e ammortamenti per investimenti non effettuati per un valore di 38,4 milioni di euro. Altri 46 milioni dovranno essere resi a Pubbliacqua che li pretende per i minori consumi effettuati rispetto alle previsioni.

A denunciare la situazione, scagliandosi contro la holding Pubbliacqua e l’acquiescenza di alcuni sindaci di Ato3 è Piera Ballabio, capogruppo della lista civica Libero Mugello nel Comune di Borgo San Lorenzo. “Abbiamo esaminato nel dettaglio – afferma – la terza revisione tariffaria approvata il 17 dicembre 2010 dai sindaci che compongono Ato3. Con il documento, la maggioranza dei sindaci ha respinto la richiesta del comune di Firenze di prorogare al 2026 la concessione del servizio a Publiacqua. La revisione è stata poi allegata definitivamente ad una delibera del consiglio di amministrazione dell’Ato del 22 luglio 2011, approvata quindi dopo l’esito referendario, senza che vi sia stato il benché minimo accenno ai cambiamenti introdotti dal risultato delle urne”.
Oltre al danno, la beffa. I cittadini che si sono visti costretti a pagare di tasca loro la remunerazione del capitale (accordata a Pubbliacqua fino al 2021, anno in cui scade la concessione) e le spese per gli ammortamenti su investimenti non effettuati hanno pensato che la cifra sborsata in eccedenza gli venisse restituita nei prossimi anni. E’ successo invece l’esatto contrario: i risparmi sui consumi di acqua effettuati dai cittadini (3 milioni di metri cubi nel 2002, 4 nel 2004, 2 nel 2009) hanno smentito le previsioni di entrata di Publiacqua e così ai 14,70 milioni di euro, resi nel triennio appena trascorso, si aggiungono 46,2 milioni, che gli utenti stanno rendendo e renderanno nei prossimi tre anni.
Numeri di tutto rispetto, insomma, che stupiscono ancora di più se si pensa che Publiacqua, una società che vanta un fatturato da 160 milioni di euro, è pubblica al 60%. La quota restante è in mano alla Spa Acque Blu Fiorentine, un partner privato di cui Acea Spa detiene il 68,99%. Le altre quote sono delle Spa Ondeo Italia (22,83%), Mps Investments (8%). Il residuo 0,18% è detenuto dal CCC (Consorzio cooperative costruzioni) di Bologna, da Vianini lavori (società per azioni controllata dalla holding Caltagirone Spa) e dal Consorzio toscano cooperative (CTC).

A farla da padrone, tra i soci privati, è Acea, una delle principali multiutility italiane. La società, quotata in Borsa dal 1999, è il primo operatore nazionale nel settore idrico, il terzo nella distribuzione di elettricità e nella vendita di energia e il quinto nel settore ambientale. Il gruppo, che conta oltre 6.700 dipendenti, è a maggioranza pubblica: il Comune di Roma infatti ne detiene il 51%. Della restante quota il 15% è di Francesco Gaetano Caltagirone, l’11,5 della francese Suez Environnement (di cui il colosso GDF Suez S.A. è azionista al 35%), il 22,4% invece è diviso tra numerosi azionisti minoritari.
Se si analizza l’organigramma societario di Acea balzano agli occhi i nomi di due degli uomini d’oro dell’acqua italiana. A capo della società è stato messo, per volere del sindaco di Roma Gianni Alemanno, Giancarlo Cremonesi (ex-presidente dell’associazione dei costruttori romani), ora presidente di Confservizi, della Camera di commercio romana e di Unioncamere. Amministratore delegato di Acea è Marco Staderini, ex-consigliere Rai e presidente e amministratore di Lottomatica, in quota Udc. La sua nomina è stata sostenuta da Alemanno e da Caltagirone: Staderini è nome gradito a Pier Ferdinando Casini, genero di Caltagirone. Come una nomina ai vertici di Acea è d’area casiniana, così la poltrona più importante di Pubbliacqua è occupata da Erasmo D’Angelis, vicino al sindaco di Firenze Matteo Renzi. Il presidente della partecipata che gestisce le risorse idriche di Ato3 e serve 49 Comuni in cui abita un terzo della popolazione regionale (circa 1 milione 277 mila abitanti) è un giornalista professionista. D’Angelis è stato capo della redazione fiorentina de il Manifesto e in passato ha portato avanti diverse battaglie all’interno di Legambiente, salvo poi sposare il progetto della variante di valico. In politica è sceso a fianco della Margherita, di cui è stato consigliere regionale in Toscana. Oggi D’Angelis è un sostenitore di un altro ex della Margherita, il primo cittadino di Firenze Matteo Renzi. Insieme a lui, a dar forza al blocco del rottamatore, si sono schierati due pilastri di Legambiente: il senatore Roberto Della Seta e l’onorevole Ermete Realacci. Il sostegno accordato a Renzi non ha tardato a dare i suoi frutti: terminato l’incarico in Regione, il sindaco fiorentino ha messo D’Angelis a capo di Pubbliacqua.

La partita che si gioca sull’acqua nel territorio toscano dell’Ato3 non può che attirare nuovi investitori privati: i cittadini consumano meno, ma pagano di più. L’affare c’è, e lo sanno bene gli attuali gestori della cordata fiorentina-romana. Ballabio, dati alla mano, parla di un futuro non esattamente roseo per le tasche dei cittadini che vivono nell’area gestita da Pubbliacqua: “Il risultato finale di questa terza revisione tariffaria è la crescita continua della tariffa nei prossimi dieci anni: nel 2021 l’acqua costerà il 33,7% in più, la fognatura sarà aumentata del 102,2% e la depurazione del 33,3%”.

 ( da Il Fatto Quotidiano )

sabato 26 novembre 2011

Brevetto sul broccolo: Frenata dell’EPO


Il 26 ottobre l’ Ufficio Europeo dei Brevetti ha annullato all’ultimo momento l’udienza per la decisione finale riguardante il brevetto sul broccolo in mano alla Monsanto, decretando in tal modo la validità di tale brevetto, e provocando un’ondata di protesta tra cittadini, agricoltori, associazioni e molte istituzioni europee …

Il broccolo era stato scelto sin dal 2008 come “caso giuridico” in base al quale si sarebbe deciso se era o non era lecito per l’EPO rilasciare brevetti su piante e animali riprodotti con metodi tradizionali (non geneticamente modificati); brevetti che  andavano contro la stessa direttiva europea CE98/44, detta “dei brevetti sul vivente una illecita estensione della privatizzazione del patrimonio genetico del pianeta, una minaccia al diritto più fondamentale dei popoli: quello alla sicurezza e alla sovranità alimentare.
Era ben poca dunque  la speranza che l’ 8 novembre - giornata in cui l’EPO avrebbe dovuto emanare la seconda sentenza in programma, quella sul brevetto sul pomodoro in mano al Ministro dell’agricoltura israeliano - le cose sarebbero andate meglio. Considerando che l’EPO ha già rilasciato negli ultimi anni un centinaio di brevetti su organismi riprodotti con metodi tradizionali non si osava sperare che vi fosse una decisione ad essi sfavorevole.
 
Invece a sorpresa  l’EPO ha tirato oggi un freno d’emergenza e si è preso un momento di riflessione prima di decidere su quello che è stato sempre indicato come il secondo “caso giuridico”: il brevetto sul pomodoro. L’EPO ha deciso di non recare al momento un ulteriore danno alla sua immagine! La sua  “Technical Board (Corte Tecnica) ha deciso di rinviare un’altra volta il quesito all’Alta Corte d’Appello!
Secondo Christoph Then , portavoce della coalizione “NO patents on seeds”: “ Non dobbiamo correre il rischio di credere che questa sia una soluzione finale per i brevetti sulle piante e animali riprodotti in modo tradizionale: conosciamo le contraddizioni abituali dell’EPO … tuttavia va detto che fino ad oggi nessun caso era mai stato rinviato due volte all’Alta Corte d’Appello. Bisogna credere che l’EPO inizi a temere un deterioramento eccessivo della sua immagine
 
( notizie tratte da Equivita )

lunedì 21 novembre 2011

Chi è il neo ministro dell'Ambiente


Chi è dunque Corrado Clini, nuovo ministro dell'Ambiente? A chi abbia seguito le vicende del gabinetto negli ultimi vent'anni, il nome non suonerà affatto nuovo. Clini ha avuto il ruolo di direttore generale del ministero dell'Ambiente fin dal 1990, e nel corso degli anni ha navigato nelle alterne fortune e nelle varie vicende che hanno coinvolto il dicastero.
Già nell'89, ancor prima di iniziare la sua carriera dirigenziale, Clini assumeva un ruolo di rilievo nella vicenda dei rifiuti pericolosi italiani sversati in Libano dalle aziende lombarde e quindi riportati in Italia dalla nave Jolly Rosso. In quell'occasione fu il primo a rassicurare gli italiani sull'innocuità dell'operazione, sostenendo che bruciare due copertoni avrebbe causato maggior inquinamento.
Per anni si è occupato della vicenda di Acna di Cengio, la zona nei pressi di Savona devastata dall'inquinamento causato da un'attività industriale sfrenata, che venne bonificata a partire dai primi anni Novanta e fu al centro di uno scandalo a causa dei rifiuti "magicamente spariti" dall'area, che in realtà erano stati sversati apertamente nei pressi del fiume Bormida.
Clini è stato anche indagato, fra il 1996 e il '97 per via dell'inquinamento prodotto da un inceneritore della società svizzera Thermoselect. Difeso dall'avvocato Taormina, riuscì a far trasferire il processo dalla procura di Verbania al Tribunale di Roma, dopo di che la sua posizione fu archiviata.
Proprio la posizione sull'incenerimento dei rifiuti è uno dei punti che convince meno nella figura del neo ministro dell'ambiente. Ecco cosa sosteneva sulle campagne anti-inceneritori in un'intervista rilasciata al sito dell'Agi Energia: “Queste polemiche sulla mancanza di sicurezza ambientale degli impianti di termovalorizzazione non hanno alcun fondamento. È un pregiudizio, non è una contestazione di merito”. E concludeva, sempre con riferimento agli inceneritori “In Campania ne servono, così come in Sicilia, in Puglia, nel Lazio, in Liguria: per essere chiari, dove non ci sono servono”.

Altro punto dolente riguarda il nucleare. Clini è il curatore del rapporto Verso la strategia nucleare dell'Italia, datato settembre 2010. Vi si possono leggere affermazioni come le seguenti: “tra le energie pulite il nucleare, insieme all’efficienza energetica ed alle rinnovabili, ha un ruolo decisivo, perché è disponibile, è efficace, è la tecnologia avanzata di riferimento per le economie che si stanno muovendo con maggiore velocità verso la nuova green economy”; oppure “il nucleare contribuisce in modo significativo alla sicurezza energetica dell’Europa”; o infine “in questo contesto la ripresa del nucleare in Italia […] può dare una scossa a tutta l’Europa”……

(da:  Il cambiamento.it )

lunedì 14 novembre 2011

Maxiemendamento: quanto ci costa la stabilità. Ecco il testo integrale

di Leonardo Iacobucci *

Il testo del maxiemendamento: la ricetta della stabilità, e soprattutto su chi e quanto pesa.

Innanzitutto la prima cosa che balza agli occhi a chi scorra velocemente “l’indice” è che ci sono talmente tanti provvedimenti non aventi nulla a che fare con la crisi che verrebbe voglia di citare Di Pietro nella sua massima più nota. E sinceramente io non credo a chi sostiene che “ce lo impone l’Europa” ; è verissimo che, per come è stato costruito l’euro (strumento utile ma fatto male) siamo praticamente governati dalla BCE, ma è pur vero che non vedo come, ad esempio, possa interessare il nostro sistema pensionistico alla BCE stessa. Ci hanno, a torto o a ragione, semplicemente chiesto di risanare il debito pubblico. Ma se l’Italia un giorno si svegliasse (quando???) e decidesse di iniziare a ridurre il debito pubblico eliminando davvero la marea di privilegi ingiusti, applicando un sistema fiscale più equo e redditizio per le casse dello Stato e combattendo efficacemente l’evasione fiscale, non credo che la BCE avrebbe qualcosa da ridire.

Ma andiamo con ordine (limitatamente ai punti più interessanti).

All’art. 4 bis troviamo il tema pensioni: in sostanza cresce l’età per andare in pensione. Nel 2026 sarà di 67 anni.

Art. 4 ter: dismissione del patrimonio pubblico. In altre parole lo Stato è ai saldi di fine stagione. Si finirà, come già successo numerose volte sotto governi di ogni colore politico, per svendere beni a favore di privati che poi li riaffitteranno a Stato ed enti pubblici (se l’Inps vende lo stabile dove si trova non può certo mettere i suoi sportelli sotto un gazebo). Ci troveremmo, nel giro di pochissimi anni, azzerato il tesoretto (già svalutato) proveniente dalle vendite stesse. (NB. I beni di valore inferiore ai 400.000 euro sarano alienati con TRATTIVA PRIVATA!).

Art. 4 quinquies: riduzione del debito pubblico degli enti locali (vendite di beni e tagli a servizi, in sostanza).

Art. 4 sexies: contiene «Liberalizzazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica». Vi ricorda niente? Tipo ad esempio il servizio idrico? Si, proprio quello per il quale milioni di italiani si sono pronunciati a giungo dichiarandosi contrari alla privatizzazione.

Art. 4 undecies : c.d “burocrazia zero”. In teoria dovrebbero essere aiuti per cittadini e nuove imprese. In realtà di chiaro ed evidente ci sono solo disposizioni, ad esempio, che agevolano l’evasione fiscale tramite la possibilità per le SRL di redigere i loro bilanci tramite uno “schema semplificato” o che riducono di fatto gli organi di controllo societari.

Art. 4 terdecies: si prevede la mobilità per i dipendenti pubblici che lavorano in enti o uffici in eccedenza di personale. L'amministrazione deve verificare la «ricollocazione totale o parziale del personale» in altri uffici compresi nell'ambito della stessa Regione, anche ricorrendo a strumenti di flessibilità di orario o a contratti di solidarietà. I dipendenti che non possono essere ricollocati vanno "in disponibilità" con un'indennità dell'80% e l'indennità integrativa speciale per un massimo di 24 mesi.

Art. 4 quinquiesdecies e sexiesdecies: incentivi di defiscalizzazione per le infrastrutture. Peccato che ci sia un intero articolo dedicato alla Tav Torino-Lione: si stabilisce anche il reato grave (ai sensi dell art.682 del codice penale, arresto da tre mesi a un anno) per chi si introduca nel cantiere o ostacoli il passaggio allo stesso. Il cantiere diventa sito militare.

Art. 4 noviesdecies: lavoro, giovani e donne. Tre anni di azzeramento contributivo per le piccole imprese che utilizzano giovani con contratti di apprendistato, facilitazione per l’occupazione femminile, e norme per rilanciare il telelavoro. Per finanziare gli interventi è previsto l’aumento di un punto per i contributi della gestione separata (quella dei co.co.co e dei co.co.pro). Cioè per far lavorare i soggetti più deboli si tassano di più i soggetti più deboli che già lavorano. Mi sembra giusto!

Art. 4 quinquies et vicies: spese di giustizia. In sostanza aumentano vertiginosamente le spese legali nei processi.

Infine, per farla breve, per quei pochi che sono arrivati a legger fin qui, il testo contiene anche:

-Carburanti: aumentano le accise.
-Terremoto dell’Aquila: i terremotati dovranno restituire le tasse sospese dal 1°gennaio 2012 per un importo del 40% e in 120 rate. Umbria e Marche ebbero trattamento analogo, ma cominciarono a restituire le tasse sospese dodici anni dopo il sisma, non tre.

-Anas: dal 1° gennaio 2012 trasferisce tutte le sue partecipazioni a Fintecna.

* da asinichevolano.altervista.org             12 novembre 2011

mercoledì 2 novembre 2011

Cosa non funziona nel governo del territorio regionale e nazionale?

di Renzo Moschini *
La magistratura indagherà sulle  responsabilità degli amministratori per i disastri con vittime che hanno colpito la Liguria e la Toscana. Chi amministra, a partire dalle regioni colpite e dalle forze politiche con maggiori responsabilità di governo, deve invece ‘indagare' seriamente su cosa non va e perché nella gestione del territorio (che non riguarda solo le risorse assolutamente inadeguate). Gaia Checcucci, segretario generale dell'Autorità di Bacino dell'Arno, ha dichiarato a Repubblica che ha 105 milioni in cassa per mettere l'Arno in sicurezza, ma per ragioni varie non riesce a spenderli perché i progetti non vanno avanti.
Di inadeguato ci sono inoltre anche altre cose spesso niente affatto nuove, ma che finora non si saputo o voluto affrontare seriamente. Anche il magistrato che ha sorvolato le zone disastrate   ha detto di essere rimasto colpito da come il cemento aveva invaso aree dove non si doveva assolutamente costruire. Ma le cause non stanno solo nel cemento e nel consumo spaventoso di territorio. Tanto è vero che il ministro dell'agricoltura Romano parlando proprio in questi giorni della PAC (la nuova politica agricola comunitaria) ha detto che le nuove regole previste farebbero chiudere le aziende di 10 ettari. E l'abbandono della campagna e delle attività agricole è spesso la causa delle frane e degli smottamenti di cui stiamo parlando.

La novità - se così si può dire - è che questa volta il disastro ha riguardato pesantemente anche territori interni a parchi ed aree protette famose e comunque funzionanti che dovrebbero trovarsi in maggiore sicurezza. Aree comunque non invase dal cemento. Bacini e parchi dotati in questo caso di strumenti di pianificazione e comunque di controllo non limitati a quelli comunali o provinciali (quando ci sono). Evidentemente c'è qualcosa che non gira a dovere se neppure due leggi così importanti come quella sul suolo ( la 183) e quella nazionale sui parchi ( la 394) a cui vanno aggiunte nel caso delle due regioni colpite le leggi regionali sempre sulle aree protette, non sono state sufficienti. Prendiamo il Magra, un fiume che riguarda entrambe le regioni che però ha una unica autorità di bacino a cui si aggiunge un parco regionale ligure -quello di Montemarcello-Magra- mentre sulla sponda toscana operano soltanto un paio di ANPIL ossia aree protette di interesse  comunale previste dalla legge toscana. Ecco una prima evidente contraddizione già oggetto anche nella passata legislatura regionale di qualche discussione che non approdò però a niente. Ricordo, infatti, un incontro proprio ad Aulla dove si discusse di questa situazione evidenziando come le due ANPIL non potevano garantire lo stesso impegno di un parco regionale e che quindi sarebbe stato opportuno valutare o la istituzione  di un parco interregionale (sul modello di quelli nazionali che proprio in quell'area operano sul territorio Tosco -Emiliano) o comunque di un parco regionale che offrisse la ‘sponda' adeguata a quello ligure. Non se ne fece di niente e non mi risulta che qualcuno con le nuove giunte regionali abbia ripreso il discorso.

Con i parchi i comuni che ne fanno parte possono disporre di una voce in capitolo nella gestione del territorio che altrimenti non avrebbero. Penso ai nulla osta che devono essere rilasciati dal parco anziché dai singoli comuni e quindi con una visione d'insieme che può essere riconducibile ad un piano di bacino o di parco. Nel caso  toscano la situazione è poi peggiorata quando nella passata legislatura inopinatamente i nulla osta  sono stati sottratti ai parchi. Della nuova legge regionale che avrebbe dovuto  rimediare anche a questo vulnus di cui si parla  ormai da alcuni anni, non abbiamo però notizia. Ecco alcuni nodi - solo alcuni - resi anche più acuti dalla situazione determinatasi nei  bacini con le ultime modifiche alla legge sul suolo che ne hanno ulteriormente complicato il lavoro, rendendoci - tanto per cambiare - anche inadempienti nei confronti di disposizioni comunitarie riguardanti proprio la gestione delle acque.
Ecco perché tra i danni a cui far fronte va messo nel conto la gestione regionale e nazionale di queste politiche resa peraltro più precaria e traballante dalle crescenti incertezze ed anche decisioni sul ruolo dei diversi livelli istituzionali; comunità montane, province, piccoli comuni, autorità di bacino e parchi, tutti alle prese non soltanto con i pesanti tagli finanziari ma anche con la ridefinizione del loro ruoli sempre che ne abbiano o debbano averne.

Le istituzioni - ed anche il partito che in Toscana come in Liguria ha cosi rilevanti responsabilità di governo - non può cavarsela con qualche comunicato di solidarietà o dichiarazione degli ecodem. E non possiamo certo aspettare che tra le 100  idee di cui si è chiacchierato alla Leopolda ce ne sia qualcuna anche su questi temi che finora non mi pare abbiano interessato granché, sicuramente molto meno delle primarie.

* da greenreport   2 novembre 2011