Partiti, movimenti, reti
di Massimo Marino
Esistono ancora i Partiti in Italia, quanti sono, chi o cosa rappresentano, su cosa si dividono, hanno obiettivi che riguardano il paese o sono autoreferenziali, sono ancora utili, è possibile oggi allearsi con qualcuno di loro?
Quali e quanti sono i movimenti che aspirano al cambiamento, chi rappresentano, perché sono divisi, che cosa impedisce la loro unione, hanno un peso e quale nella società italiana, sono in grado di cambiare il paese, gli interessa, con quale percorso possono farlo?
Quali e quanti sono i movimenti che aspirano al cambiamento, chi rappresentano, perché sono divisi, che cosa impedisce la loro unione, hanno un peso e quale nella società italiana, sono in grado di cambiare il paese, gli interessa, con quale percorso possono farlo?
Per discuterne è ben cominciare dall’inizio.
1 Già Max Weber, sociologo tedesco, agli inizi del ‘900 affermava con chiarezza che il ruolo dei partiti era quello di ottenere il controllo del governo (e prima del parlamento), dare il potere ai loro capi (leader), ottenere vantaggi (personali e di gruppo).
1 Già Max Weber, sociologo tedesco, agli inizi del ‘900 affermava con chiarezza che il ruolo dei partiti era quello di ottenere il controllo del governo (e prima del parlamento), dare il potere ai loro capi (leader), ottenere vantaggi (personali e di gruppo).
Contemporaneamente garantire forme di controllo dei governati sui governanti, mediare quindi fra Cittadini e Stato, educare tutti alla democrazia rappresentativa. Sebbene influenzato da Marx ciò non lo portava all’idea che questo percorso in parte virtuoso potesse risultare insopportabile per questa o quella area o classe sociale e spingere necessariamente a scelte rivoluzionarie.
Maurice Duverger, giurista francese, qualche decennio dopo chiariva già che i sistemi elettorali hanno grande influenza sul sistema dei partiti e sulla politica (fino a determinarne le caratteristiche). In particolare chiarendo che i sistemi maggioritari ( specie se a turno unico) spingono al bipolarismo, quelli proporzionali al multipartitismo. Fuori dal regime democratico i sistemi autoritari spingono, ovviamente, al partito unico. Per quanto in paesi dell’area anglosassone e non solo si facesse strada il sistema dei collegi uninominali ( strumentalmente giustificati da esigenze di stabilità) Duverger ammette che nella maggior parte dei paesi il sistema della democrazia è quello del proporzionalismo e quindi del tendenziale pluralismo.
Il nostro Giovanni Sartori, andando per le spiccie, sostiene da tempo che i partiti che contano sono quelli che hanno potere di ricatto, cioè che sono determinanti per promuovere coalizioni di governo, ( potenziale di governo e di ricatto) quindi devono essere medio-grandi; quelli piccoli o che comunque non vogliono governare, (irresponsabili o antagonisti) non servono, quindi tantovale trovare il sistema per eliminarli.
Secondo Sartori sopra i 5 partiti si passa dal pluralismo moderato al pluralismo polarizzato, con presenze antisistema, centro occupato, partiti irresponsabili; pessima situazione (secondo lui) che da anni propina ( per giunta a pagamento) la sua idea singolare di democrazia nelle TV e nei giornali da noi finanziati .
Stein Rokkan, politologo norvegese, una trentina di anni fa affermò che l’origine genetica dei partiti è il prodotto di fratture sociali ( cleavages ), che hanno origini in interessi materiali e/o ideologici di gruppi sociali contrapposti, di 4 possibili tipi: Capitale/Lavoro, Stato/Chiesa, Centro/Periferia, Città/Campagna. I “costruttori della nazione” di Rokken, che potremmo un po’ più brutalmente chiamare da noi “quelli che hanno il potere vero nelle mani “, nei momenti di fratture si alleano inevitabilmente ad uno o più di questi poli a discapito degli altri per sopravvivere alla crisi.
Maurice Duverger, giurista francese, qualche decennio dopo chiariva già che i sistemi elettorali hanno grande influenza sul sistema dei partiti e sulla politica (fino a determinarne le caratteristiche). In particolare chiarendo che i sistemi maggioritari ( specie se a turno unico) spingono al bipolarismo, quelli proporzionali al multipartitismo. Fuori dal regime democratico i sistemi autoritari spingono, ovviamente, al partito unico. Per quanto in paesi dell’area anglosassone e non solo si facesse strada il sistema dei collegi uninominali ( strumentalmente giustificati da esigenze di stabilità) Duverger ammette che nella maggior parte dei paesi il sistema della democrazia è quello del proporzionalismo e quindi del tendenziale pluralismo.
Il nostro Giovanni Sartori, andando per le spiccie, sostiene da tempo che i partiti che contano sono quelli che hanno potere di ricatto, cioè che sono determinanti per promuovere coalizioni di governo, ( potenziale di governo e di ricatto) quindi devono essere medio-grandi; quelli piccoli o che comunque non vogliono governare, (irresponsabili o antagonisti) non servono, quindi tantovale trovare il sistema per eliminarli.
Secondo Sartori sopra i 5 partiti si passa dal pluralismo moderato al pluralismo polarizzato, con presenze antisistema, centro occupato, partiti irresponsabili; pessima situazione (secondo lui) che da anni propina ( per giunta a pagamento) la sua idea singolare di democrazia nelle TV e nei giornali da noi finanziati .
Stein Rokkan, politologo norvegese, una trentina di anni fa affermò che l’origine genetica dei partiti è il prodotto di fratture sociali ( cleavages ), che hanno origini in interessi materiali e/o ideologici di gruppi sociali contrapposti, di 4 possibili tipi: Capitale/Lavoro, Stato/Chiesa, Centro/Periferia, Città/Campagna. I “costruttori della nazione” di Rokken, che potremmo un po’ più brutalmente chiamare da noi “quelli che hanno il potere vero nelle mani “, nei momenti di fratture si alleano inevitabilmente ad uno o più di questi poli a discapito degli altri per sopravvivere alla crisi.
2 I partiti socialisti e poi quelli comunisti nei primi decenni del secolo scorso si strutturarono in modo esplicito a difesa, o almeno in rappresentanza, di strati o classi sociali contro altri strati e classi mantenendo, ed anzi privilegiando, la conquista della maggioranza e del potere in forme parlamentari o rivoluzionarie come proprio obiettivo primario; l’organizzazione nel territorio (cellule, sezioni o simili ) si esprimeva con una struttura sostanzialmente a piramide che nelle parti alte prevedeva un Comitato centrale, una segreteria più ristretta (ufficio politico) ed un unico leader (segretario ), normalmente maschio. Le decisioni strategiche di fondo si prendevano in Congressi; il finanziamento era, in parte più o meno rilevante, autofinanziamento. Da questo Partito organizzativo si distingueva nettamente quello elettorale americano dove la struttura era evanescente e si riaggregava al momento elettorale come strumento principale per la raccolta di fondi per la campagna elettorale. A sé restavano i partiti di tipo autoritario e fascista dove è sempre prevalsa la connotazione organizzativa della milizia fortemente gerarchica e più o meno militarizzata per rispondere o promuovere attacchi agli avversari (qualche elemento pur sfumato, ne è stato assunto, oltre che dal vecchio MSI, anche dalla Lega Nord italiana ).
Con le dovute differenze questo è il quadro classico della strutturazione dei partiti nel mondo occidentale e non solo, con la sostanziale, e non piccola eccezione di partiti o movimenti politico-religiosi (islamici e a volte fondamentalisti eintegralisti ) in Medio Oriente ma anche in alcune zone dell’Asia e dell’Africa; in quest’ ultima a volte intrecciati a strutture preesistenti di origine tribale.
3 L’Italia uscita dalla IIa guerra mondiale con il concorso di tutte le forze politiche, dai monarchici ai comunisti (con la sola eccezione del partito fascista fuorilegge), definì nella carta costituzionale il diritto alla libera associazione politica dei cittadini con l’art.49 ( "tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale" ). Non seguì, come per i sindacati, alcuna legge attuativa, lasciando la più ampia libertà organizzativa interna ai partiti, specie sulle forme con cui regolare la partecipazione democratica al loro interno e sulle forme di finanziamento, progressivamente attribuite allo Stato in proporzione al loro peso elettorale ( finanziamento pubblico). Oggi accedono ai rimborsi elettorali , al di là di avere o no eletti, tutti i partiti che raggiungono l’1%, regola che in casi ripetuti e noti ha portato al fenomeno di piccole liste inventate che si sono presentate ad hoc per guadagnare soldi.
Fino alla fine degli anni ’60 l’azione politica si espresse in queste forme ( partito, parlamento, piramide ).
Le prime forme nuove di diversa espressione della politica si manifestarono con imovimenti studenteschi ( ’68 ) che, pur privi di comunicazione fra loro ( non c’era la rete, ne il cellulare ed erano ancora limitate le potenzialità del telefono e della TV ) esplosero in tutte le parti del mondo ( dall’Europa, agli Stati uniti, dal Giappone al Messico, dalla Jugoslavia all’Iran, comprese aree asiatiche e africane ) con una comune connotazione antiautoritaria ed egualitaria, con una accentuazione dei diritti individuali e collettivi sui temi dell’ istruzione, della cultura, di più liberi costumi e della libertà e autodeterminazione individuale e sessuale per tutti ( vedi il femminismo ). Solo in un secondo momento parte di questi movimenti assunsero una connotazione di sinistra, adottarono forme organizzate più o meno tradizionali di partito, mantenendo in prevalenza una connotazione extraparlamentare. In qualche modo questa fase si esaurì nella seconda metà degli anni ’70 con lo scioglimento ( non ufficiale ma di fatto ) di Lotta Continua al 2° congresso di Rimini nel novembre 1976, con un limitato sviluppo successivo dei gruppi dell’autonomia operaia e derive di lotta armata ( Brigate Rosse e Prima linea). Si tornò alla riassunzione nei partiti delle espressioni formali della politica pur con l’avvio di nuove forme, comitati e associazioni non politiche, prevalentemente ambientaliste, pacifiste, animaliste, in misura minore nonviolente.
Alla fine degli anni ’90 il successivo movimento internazionale No-global,antiliberista e pacifista, ha solo sfiorato l’Italia, rapidamente rinsecchito dall’estrema sinistra dei piccoli leader alla Casarini e Caruso, dai manganelli di Fini al G8 di Genova del 2001, dall’ operazione Cofferati, probabilmente condotta a tavolino in qualche redazione di giornale, che ha finito di demolirlo prima di finire la sua carriera politica a fare il sindaco di Bologna per conto dei DS dell’epoca e infine parcheggiato in pensione al parlamento europeo.
Le prime forme nuove di diversa espressione della politica si manifestarono con imovimenti studenteschi ( ’68 ) che, pur privi di comunicazione fra loro ( non c’era la rete, ne il cellulare ed erano ancora limitate le potenzialità del telefono e della TV ) esplosero in tutte le parti del mondo ( dall’Europa, agli Stati uniti, dal Giappone al Messico, dalla Jugoslavia all’Iran, comprese aree asiatiche e africane ) con una comune connotazione antiautoritaria ed egualitaria, con una accentuazione dei diritti individuali e collettivi sui temi dell’ istruzione, della cultura, di più liberi costumi e della libertà e autodeterminazione individuale e sessuale per tutti ( vedi il femminismo ). Solo in un secondo momento parte di questi movimenti assunsero una connotazione di sinistra, adottarono forme organizzate più o meno tradizionali di partito, mantenendo in prevalenza una connotazione extraparlamentare. In qualche modo questa fase si esaurì nella seconda metà degli anni ’70 con lo scioglimento ( non ufficiale ma di fatto ) di Lotta Continua al 2° congresso di Rimini nel novembre 1976, con un limitato sviluppo successivo dei gruppi dell’autonomia operaia e derive di lotta armata ( Brigate Rosse e Prima linea). Si tornò alla riassunzione nei partiti delle espressioni formali della politica pur con l’avvio di nuove forme, comitati e associazioni non politiche, prevalentemente ambientaliste, pacifiste, animaliste, in misura minore nonviolente.
Alla fine degli anni ’90 il successivo movimento internazionale No-global,antiliberista e pacifista, ha solo sfiorato l’Italia, rapidamente rinsecchito dall’estrema sinistra dei piccoli leader alla Casarini e Caruso, dai manganelli di Fini al G8 di Genova del 2001, dall’ operazione Cofferati, probabilmente condotta a tavolino in qualche redazione di giornale, che ha finito di demolirlo prima di finire la sua carriera politica a fare il sindaco di Bologna per conto dei DS dell’epoca e infine parcheggiato in pensione al parlamento europeo.
Già dalla fine degli anni ’70 risultava però evidente l’incapacità del sistema dei partiti, di destra, centro e sinistra, ad esprimere progetti riformatori ed innovatori attinenti ai diritti generali od alla tutela del territorio (aggredito negli anni ‘60 da una prima ondata di cementificazioni senza precedenti). Riforme in qualche modo attinenti ai diritti come lo Statuto dei Lavoratori (1970) o la legge sull’ Aborto e laLegge Basaglia (1978) furono più il prodotto di movimenti sociali e di lotte che di una volontà riformatrice dei principali partiti italiani che avviavano il processo diautoreferenzialità, assunzione di interessi esterni e non dichiarati, perdita di referenti sociali, diminuzione delle differenze, con una progressiva concorrenza a porsi come interlocutori di poteri forti (economici, finanziari, parastatali ) per fare od ottenere le stesse cose o cose sempre più simili.
4 Almeno in Italia il primo tentativo di innovazione e allontanamento dal tradizionale sistema dei partiti si ebbe nella metà degli anni ’80 con la nascita delle Liste Verdi (comunali) e la loro unione sul territorio nazionale (congresso di Finale Ligure nel novembre 1986).
L’innovazione riguardava diversi piani di riferimento:
L’innovazione riguardava diversi piani di riferimento:
1) L’autonomia politica dell’organizzazione locale ( Liste Verdi comunali e almeno negli intenti, dei loro coordinamenti regionali chiamati Federazioni regionali). 2) Il riferimento non a strati sociali o classi o gruppi di interesse ma ai destini ed alla tutela del territorio, in generale del pianeta, ed alla qualità della vita di tutti i cittadini. 3) L’assunzione degli interessi anche delle altre specie viventi, animali e vegetali 4) Il rifiuto della violenza come strumento di azione o di conquista del potere, più in generale della guerra come strumento di soluzione delle controversie internazionali, inter-raziali, inter-religiose. 5) L’obiettivo di cambiare la politica e contestare o limitare il professionismo politico. 6) Una proiezione europea ed europeista in accordo con movimenti simili nel resto dell’Europa, in particolare nella fase iniziale della Germania (anche se le prime esperienze simili erano nate in Inghilterra). La differenza con la tradizione si manifestava anche in una forma non piramidale dell’organizzazione che fino al 1992 non aveva un leader (segretario) ma un coordinamento nazionale (11 membri). Con le elezioni europee del 1989 (2 anni dopo il referendum antinucleare vinto ) si ebbe il risultato elettorale più alto (3,8% dei Verdi e 2,4% dei Verdi Arcobaleno che nel dicembre 1990 si unirono a Castrocaro).
Nella prima metà degli anni ’90 i principali partiti avviarono progressive modifiche e differenziazioni dei sistemi elettorali verso sistemi misti che aprirono il varco alsistema maggioritario (con il referendum del 1993 per il Senato ) e con le conseguenti leggi 276 (Senato) e 277 (Camera) .
Il premio di maggioranza per la coalizione vincente alla Camera ( senza precedenti nel contesto europeo) era già apparso in due leggi elettorali italiane del passato: la legge fascista Acerbo del 1923 e la cosiddetta "legge truffa" del 1953, che vennero peggiorate.
Il premio di maggioranza per la coalizione vincente alla Camera ( senza precedenti nel contesto europeo) era già apparso in due leggi elettorali italiane del passato: la legge fascista Acerbo del 1923 e la cosiddetta "legge truffa" del 1953, che vennero peggiorate.
L’esperienza innovativa dei Verdi si esaurì rapidamente, con la rinuncia ad una vera autonomia delle Federazioni regionali, mai attuata se non di fatto nell’area Trentina e nel Sud Tirolo (anche con un diverso simbolo), il ritorno di fatto al sistema a piramide (con la nascita del Portavoce poi Presidente nazionale ), l’abolizione delle clausole antiprofessionismo.
L’ immediato ridimensionamento elettorale che li mantenne stabilmente sempre al di sotto del 3% per tutto il decennio successivo, e tendendo poi ancora al ribasso, portò i Verdi rapidamente alla perdita di autonomia, ad alleanze forzose nel cosiddetto centro-sinistra che partoriva i Progressisti (1994), l’ Ulivo (dal 1996 ), l’Unione (2005). L’alleanza in posizione subordinata avviò il progressivo sfaldamento dei Verdi con abbandoni crescenti verso i partiti, prevalentemente di sinistra, con l’appiattimento progressivo in un area innaturale di estrema sinistra, con l’abbandono da parte di migliaia di aderenti.
La presenza nelle coalizioni, a volte vincenti, assicurava la sopravvivenza di piccoli drappelli di eletti , la presenza anche nel governo nel primo (1996) e secondo (2006) governo Prodi, risorse economiche per garantire un piccolo apparato centrale mentre si spegnevano tutte le innovazioni promosse o dichiarate inizialmente ( Università Verdi, Banche etiche, Campagne nazionali, elaborazione culturale, non professionismo, etc ) fino alla sostanziale scomparsa come forza politica nazionale di rilievo negli ultimi 10 anni ed alla scissione verso Sinistra e Libertà del 2009 ( congresso di Fiuggi ). Un epilogo singolare nel periodo in cui le forze ecologiste nel resto del mondo, caratterizzandosi come polo autonomo, avviavano una straordinaria espansione.
La presenza nelle coalizioni, a volte vincenti, assicurava la sopravvivenza di piccoli drappelli di eletti , la presenza anche nel governo nel primo (1996) e secondo (2006) governo Prodi, risorse economiche per garantire un piccolo apparato centrale mentre si spegnevano tutte le innovazioni promosse o dichiarate inizialmente ( Università Verdi, Banche etiche, Campagne nazionali, elaborazione culturale, non professionismo, etc ) fino alla sostanziale scomparsa come forza politica nazionale di rilievo negli ultimi 10 anni ed alla scissione verso Sinistra e Libertà del 2009 ( congresso di Fiuggi ). Un epilogo singolare nel periodo in cui le forze ecologiste nel resto del mondo, caratterizzandosi come polo autonomo, avviavano una straordinaria espansione.
Un secondo tentativo di innovazione è avvenuto negli anni più recenti per iniziativa di Beppe Grillo avviata con la collaborazione, iniziata nel 2005, della Società Casaleggio Associati, che da allora amministra tutta l’attività di Grillo ( e più recentemente di parte dell’attività in rete di Di Pietro ); dagli spettacoli alla diffusione di libri e DVD fino alla nascita e gestione dei Meet-up, circa 400 oggi che, basandosi sulla comunicazione in Rete, hanno progressivamente assunto il ruolo di “sezioni locali” di un movimento politico che ha iniziato seppure in modo limitato e frammentato a presentarsi nelle elezioni di alcuni comuni, in qualche provincia, sostenendo alcuni candidati indipendenti nelle liste dell’Italia dei Valori alle ultime elezioni europee ( eleggendo De Magistris e Sonia Alfano poi passati all’IdV ). Per quanto ultimamente rappresentato con qualche peso nei sondaggi nazionali (2-4% cioè ai limiti del quorum, almeno per la Camera ) il Movimento 5 Stelle non sembra in grado ( sembra per ammissione, seppure non pubblica, dello stesso Grillo ) di avere una presenza alle elezioni politiche, che, nel caso fossero imminenti, probabilmente non lo vedrebbero partecipare.
Il movimento di Grillo, il quale già dagli anni ’70 aveva espresso una forte vocazione “ecologista”, ha assunto prevalentemente una “ connotazione anticasta” (con un approccio mediatico populista) cioè ostile all’intero sistema dei partiti ed il rifiuto a priori di qualunque possibilità di alleanze elettorali. Sul piano organizzativo la proposta organizzativa di M5Stelle si presenta con una apparente connotazione a rete sul territorio, priva di sistemi gerarchici locali ufficiali, con legami fra i nodi comunali (meet-up) praticamente assenti e garantiti di fatto da Grillo stesso che amministra la concessione del simbolo, stabilisce momenti e campagne nazionali (Vday e meeting nazionali), rifiuta i rimborsi elettorali. Una rete puntiforme con deboli connessioni fra i punti ed un unico apice che le collega rappresentato da Grillo stesso e tecnicamente dal suo staff e dalla Casaleggio.
Il movimento di Grillo, il quale già dagli anni ’70 aveva espresso una forte vocazione “ecologista”, ha assunto prevalentemente una “ connotazione anticasta” (con un approccio mediatico populista) cioè ostile all’intero sistema dei partiti ed il rifiuto a priori di qualunque possibilità di alleanze elettorali. Sul piano organizzativo la proposta organizzativa di M5Stelle si presenta con una apparente connotazione a rete sul territorio, priva di sistemi gerarchici locali ufficiali, con legami fra i nodi comunali (meet-up) praticamente assenti e garantiti di fatto da Grillo stesso che amministra la concessione del simbolo, stabilisce momenti e campagne nazionali (Vday e meeting nazionali), rifiuta i rimborsi elettorali. Una rete puntiforme con deboli connessioni fra i punti ed un unico apice che le collega rappresentato da Grillo stesso e tecnicamente dal suo staff e dalla Casaleggio.
Per quanto l’iniziativa di Grillo e del suo movimento abbia avuto in più occasioni un ruolo estremamente positivo nella denuncia delle degenerazioni in atto nel sistema dei partiti italiani, nei suoi legami con apparati corrotti o corruttivi, nelle complicità e uniformazione nei loro comportamenti, è possibile che, paradossalmente, le prossime scadenze elettorali comunali possano rappresentare il momento più alto di successo elettorale del movimento e contemporaneamente l’avvio della sua disgregazione, già in atto in diverse realtà, a meno che Grillo non maturi nuove forme più democratiche di organizzazione interna, non affronti il problema delle alleanze con le aree sensibili ai temi ecologisti, civici e anticasta, non introduca elementi di vera innovazione e democrazia nelle strutture locali, regionali e nazionali del movimento.
5 Non ci sono stati, negli ultimi 2 decenni, altri tentativi di un certo rilievo di promuovere innovazioni politico-culturali correlate a nuove sperimentazioni dell’organizzazione, della partecipazione diretta, della democrazia esercitata in qualche modo da settori ampi della società italiana.
Fuori dalla sfera della partecipazione diretta all’impegno politico-istituzionale si sono avute alcune esperienze di rilievo che hanno tentato un impegno politico-sociale fuori dalle istituzioni utilizzando il modello della “rete diffusa”. La più nota è stata Rete Lilliput, coordinamento di gruppi diversi, fondata evitando la strada tradizionale delle strutture gerarchiche interne, rifiutando la personalizzazione e la professionalizzazione dell’impegno politico, concentrando nei nodi locali e nelle loro attività l’aggregazione delle persone, unite solo da un Manifesto di intenti e da alcune campagne nazionali (Il Tavolo delle Campagne). Nata alla fine del 2000 con l’adesione di una quindicina di gruppi preesistenti, prevalentemente di area cattolica ( Mani Tese, Nigrizia, Beati i Costruttori di Pace…), Rete Lilliput è durata per parecchi anni, praticamente fino al 2008 quando è stato di fatto costatato in qualche modo se non il fallimento, almeno l’esaurirsi del tentativo fatto e la scarsa incisione nella società italiana. Altri tentativi più piccoli, come il recente Movimento dei Movimenti in Piemonte, sembrano ripercorrere la stessa strada e lo stesso limite di fondo: il rapporto ambiguo e irrisolto con il sistema dei partiti, con l’illusoria intenzione di condizionarli da fuori, e la mancata risoluzione della forma da dare all’organizzazione della iniziativa.
Fuori dalla sfera della partecipazione diretta all’impegno politico-istituzionale si sono avute alcune esperienze di rilievo che hanno tentato un impegno politico-sociale fuori dalle istituzioni utilizzando il modello della “rete diffusa”. La più nota è stata Rete Lilliput, coordinamento di gruppi diversi, fondata evitando la strada tradizionale delle strutture gerarchiche interne, rifiutando la personalizzazione e la professionalizzazione dell’impegno politico, concentrando nei nodi locali e nelle loro attività l’aggregazione delle persone, unite solo da un Manifesto di intenti e da alcune campagne nazionali (Il Tavolo delle Campagne). Nata alla fine del 2000 con l’adesione di una quindicina di gruppi preesistenti, prevalentemente di area cattolica ( Mani Tese, Nigrizia, Beati i Costruttori di Pace…), Rete Lilliput è durata per parecchi anni, praticamente fino al 2008 quando è stato di fatto costatato in qualche modo se non il fallimento, almeno l’esaurirsi del tentativo fatto e la scarsa incisione nella società italiana. Altri tentativi più piccoli, come il recente Movimento dei Movimenti in Piemonte, sembrano ripercorrere la stessa strada e lo stesso limite di fondo: il rapporto ambiguo e irrisolto con il sistema dei partiti, con l’illusoria intenzione di condizionarli da fuori, e la mancata risoluzione della forma da dare all’organizzazione della iniziativa.
Il sostanziale fallimento di Rete Lilliput e di molte altre esperienze simili e più piccole, oltre ad uno strascico di delusioni e abbandoni, ha riaperto, sebbene in ambiti molto ristretti, il dibattito su partiti, movimenti e reti, nel quali di indubbia utilità quello in parte circoscritto alle reti di economia solidale (es Davide Biolghini ed alcuni altri ). In altri casi ponendo invece accenti molto critici alla formula delle reti e rischiando di riproporre di fatto la vecchia alternativa: definizione di alcuni assiomi rigidamente circoscritti, strutture organizzative che tendono a riproporre la piramide, referenti sociali e territoriali molto esigui (utili, sebbene molto discutibili, per questa riflessione, alcuni interventi su MegaChip di Giulietto Chiesa ed altri ). Il fallimento della esperienza dei Verdi a cavallo degli anni 80-90 , la palese difficoltà in cui annaspano i meet-up di Grillo (con il pregio di portare alla politica diretta alcune migliaia di giovani normalmente ostili a questo tipo di impegno ), l’inadeguatezza della proposta delle reti, dentro e fuori l’impegno politico-istituzionale diretto, non hanno impedito il proliferare, negli ultimi 10 anni , di esperienze civiche (in genere autodefinitesi “liste civiche” ) che in molti casi hanno affrontato anche il livello elettorale locale con frequenti risultati di un certo rilievo. La novità recente è una nuova attenzione a superare l’ambito locale e cercare nuove forme di organizzazione regionale o nazionale, riaprendo un dibattito più ampio sui temi che qui si sono affrontati.
6 In Italia ci sono quindi almeno 8 Partiti che si possono definire nazionali e forse anche influenti ( PDL, Lega Nord, FeL, UDC, PD, IdV, SeL, M5Stelle ) dei quali almeno 5 sono potenzialmente al limite della rappresentanza (3-5%) che li può rendere ininfluenti secondo gli spietati criteri del nostro simpatico Sartori; ce ne sono altri 5-6 che hanno probabilmente terminato il loro percorso storico e non sono più in grado di interferire in alcun modo, da soli, sul sistema politico e sulla società italiana ( Fed Sinistra, Verdi, Radicali, Socialisti , API, Destra ); ci sono in aggiunta alcuni partiti significativi di ambito regionale ( SVP, Mov. delle Autonomie, Union Valdotaine ) e una decina almeno di micropartiti. Un eccesso esorbitante di offerta politica che nel suo insieme dà da tempo un penoso spettacolo, viene un po’ sbrigativamente liquidato da milioni di italiani come “la casta “ o simili e non sembra affatto soddisfare la domanda dei cittadini, tant’è che fra il 30-35% almeno degli elettori è sempre più stabilmente assenteista. I due partiti principali, PDL e PD (alla faccia del cosiddetto “bipolarismo” ), sommati insieme sono votati dal 25-40% degli elettori totali a seconda dei casi. A Torino il dato paradossale della telenovela infinita delle primarie comunali del PD e dintorni è che gli iscritti al partito che governa (malamente) e controlla (rigidamente) da anni rilevanti capisaldi istituzionali, economici, dei media che contano della città, sono 3500 su quasi un milione di abitanti.
Di contro ci sono nel paese molte centinaia, forse migliaia, di comitati, gruppi, associazioni, liste civiche che operano fuori o ai margini del sistema politico. La maggior parte di questi per la loro connotazione, storia, attività sono ascrivibili ad un area ampia che potremmo chiamare civica, ambientalista, animalista, anticasta, e in parte anche non votante; qualche milione di persone potenzialmente che non ha rappresentanza politica, la rifiuta o sceglie di volta in volta, senza alcuna affezione, “il meno peggio”. In vari altri paesi europei questa moltitudine di persone e di gruppi ha trovato, almeno in parte, un riferimento, che si sta consolidando ed espandendo, nelle forze ecologiste e verdi che infatti, dopo conservatori e socialdemocratici si stanno sempre più collocando come terzo polo nell’ambito politico-culturale europeo e non solo nell’ambito europeo.
L’aggregazione progressiva di parti significative di questa enorme moltitudine attiva, passiva e non rappresentata passa attraverso alcuni prerequisiti iniziali che in presenza di un progetto e di protagonisti adeguati può dargli rappresentanza e dargli la possibilità di essere soggetto del cambiamento facendo uscire l’Italia dal suo cristallizzato medioevo ed aprire un nuovo rinascimento:
1) l’idea di una conversione ecologica dell’economia che abbandoni il paradigma della crescita e sviluppi nuove opportunità economiche e di lavoro nei settori produttivi ecorientati
2) un progetto riformatore innovativo che prefiguri un Italia più giusta ed egualitaria (mercato del lavoro, giustizia, informazione, casta), anche facendo propri temi “sociali” impropriamente attribuiti alla “sinistra” che li ha per giunta in gran parte abbandonati, ma che hanno in realtà una valenza di base nella storia moderna dell’ umanità e che restano e resteranno centrali anche al di là di una possibile totale scomparsa della sinistra nelle sue più diverse sfumature.
3) la promozione di un movimento di liberazione nazionale che cancelli corruzione, mafie, clientelismo, inefficenza degli apparati statali.
4) un riferimento esplicito alle forze ecologiste ( europeiste, pacifiste, nonviolente ) perché è necessaria una chiara identità e in Europa non ce ne sono altre che hanno questa comune e così condivisibile matrice programmatica.
Per promuovere realmente l’avvio di questo percorso di transizione sembrano inevitabili alcuni capisaldi e prerequisiti che lo tengano in piedi:
1) una vocazione pluralista e maggioritaria che permetta convivenza e sinergia di frammenti culturali, diversi ma non antagonisti, che si accettino a vicenda e definiscano insieme i “paletti” essenziali, che sono ovviamente necessari, che circoscrivano le aree sociali, economiche, culturali ma anche generazionali che sono compatibili e che possano convivere e sostenere uniti anche stili di vita e di rapporti sociali e personali nuovi e condivisi.
2) il superamento, lo scioglimento, la rigenerazione ed una nuova coagulazione di gruppi e organizzazioni preesistenti liberando nuove forze prive di tare del passato che frenano l’innovazione necessaria, requisito di base di un nuovo movimento sociale nascente. Raggiungere la massa critica iniziale e costituente della aggregazione è indispensabile per attrarre e sussumere energie che, nell’anomalo quadro sociale italiano, si sono aggregate in contenitori provvisori, che hanno in comune una crescente vocazione populista e personalista, privi di retroterra culturale europeo come IdV, SeL ( che in realtà non è neanche la die linke italiana ) e lo stesso movimento di Grillo.
3) la tessitura della pluralità di esperienze esistenti in una nuova Rete organizzata in forma di movimento politico nazionale che connetta individui, territori, esperienze e culture compatibili, le unisca fisicamente in nodi territoriali multifunzionali che noi chiamiamo ecoHub ed usi ampiamente la rete web come forma di organizzazione nel territorio; un movimento politico che, attraverso unatavola delle regole distribuisca con precisione ruoli, iniziative, poteri decisionali, in nodi organizzativamente autonomi ma coordinati sul piano locale (comunale o inter e sub comunale ) regionale, nazionale, ognuno dei quali debba esprimere leaderchip collettive ed autonome ma insieme federate in un unico movimento politico nazionale. L’esperienza dei grunen tedeschi e l’approccio pragmatico diCohn Bendit, pressocchè sconosciuti in Italia anche nel mondo ecologista, sono contributi di grande utilità che vanno conosciuti, discussi, approfonditi e adattati in modo originale alla realtà anomala italiana.
4) la costruzione del progetto di trasformazione fin dall’inizio su quattro gambe che lo facciano permeare in tutto l’insieme della società: quella economica, politica, sociale, culturale. Un approccio che veda nella presenza nelle istituzioni e nell’obiettivo del governo, che ovviamente sono obiettivi da perseguire, solo uno degli strumenti (non un fine) per la trasformazione sociale, alla pari e in parallelo agli altri terreni di innovazione; in particolare la costruzione di segmenti diffusi dialtra società nell’economia, nella cultura, nella vita quotidiana, nei comportamenti individuali.
Il superamento del “leader”, della organizzazione “piramidale” e del “ professionismo politico“ sono alcuni dei bioindicatori iniziali che misurano l’originalità del percorso.
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